Sul tavolo ci sono anche i contributi avanzati finora dai partiti e dagli economisti, che saranno presi in considerazione. Dal progetto Alfano, uno shock da 400 mld, a quello Amato-Bassanini, che punta a 178 mld in cinque anni
L’appuntamento più difficile è già fissato, a settembre. E’ quello che il premier Mario Monti ha in agenda con il debito pubblico, una montagna da quasi duemila miliardi che va aggredita con un piano credibile, per iniziare ad abbattere il rapporto con il pil. Un indicatore che, stando alle ultime stime del Def, è destinato a salire ancora quest’anno, al 123,4%, per poi iniziare una lenta discesa, al 121,5% nel 2013 e al 118,2% nel 2014. Numeri che il Paese, in piena crisi del debito dell’area Euro, non può più permettersi. Per questo, insieme ad un nuovo provvedimento di spending review, Monti e il ministro dell’economia Vittorio Grilli preparano un intervento che possa coniugare valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, in una composizione tale da scongiurare il rischio svendita e innescare un processo che ha l’ambizione di essere strutturale. Sul tavolo ci sono anche i contributi avanzati finora dai partiti e dagli economisti, che saranno presi in considerazione. Dal piano Alfano, uno shock da 400 mld, a quello Amato-Bassanini, che punta a 178 mld in cinque anni. Monti, già al termine dell’incontro del pomeriggio con il segretario del Pdl, vuole evidenziare il contributo del partito con una nota ufficiale: il premier e il ministro dell’Economia “hanno espresso il loro apprezzamento per la volontà del Pdl di collaborare con il governo per esaminare metodi e tempi del programma di dismissioni pubbliche, e si è convenuto di proseguire questo approfondimento comune”.
Lo stesso Angelino Alfano promette che “a fine agosto il Pdl rilancerà la proposta sul debito con un ulteriore studio”. Il piano illustrato dal segretario del Pdl prevede la creazione di un fondo cui lo Stato ceda i beni pubblici. Per la sua conformazione e la qualità beni contenuti, nei piani di Alfano, il fondo non potrà che avere un’affidabilità altissima rispetto ai mercati, che si tradurrà in un rating alto e quindi nella possibilità di emettere obbligazioni in grado di finanziare l’abbattimento del debito, per un valore complessivo di circa 20-25 punti di Pil, ovvero 400 miliardi. La riduzione del debito pubblico è stato anche uno dei temi al centro del confronto fra Monti e Casini. “Abbiamo parlato dei prossimi impegni del governo” alla ripresa dei lavori. E il primo di questi impegni, insieme alla fase 2 della spending review, sarà un “piano per l’abbattimento del debito”, spiega il leader dell’Udc. Che parla di “un piano concreto”, che va impostato su “cifre realistiche, non da libro dei sogni”. E a chi chiede se si riferisca al piano Alfano, replica: “dico solo che leggo di misure irrealistiche”. Mentre la proposta Amato-Bassanini, riconosce, è “interessante”. Si tratta di un intervento articolato, firmato da 11 esperti della Fondazione Astrid, tra i quali proprio Giuliano Amato e Franco Bassanini. Un intervento in sei mosse, che entro il 2017 dovrebbe dare un gettito ipotizzato in 178 miliardi in 5 anni. Dunque, molto più contenuto rispetto al piano Alfano.
Tra le misure previste dal piano Amato-Bassanini, anche la cessione di immobili per circa 72 miliardi. Trenta miliardi potrebbero venire poi dalla capitalizzazione delle concessioni (le sole lotterie danno 1,6 miliardi l’anno); 40 miliardi valgono le partecipazioni (Eni, Enel, Finmeccanica, St Microelectronics ed ex municipalizzate quotate); 15 miliardi potrebbero venire imponendo agli enti previdenziali degli ordini professionali di aumentare la quota dei loro investimenti in titoli di Stato di lungo periodo, oggi ferma al 10% del portafoglio (considerando i maneggi sugli immobili, ne avrebbero giovamento i pensionati futuri). Ancora, 16-17 miliardi potrebbe essere il flusso nel quinquennio proveniente dalla tassazione dei capitali clandestinamente costituiti da italiani in Svizzera, previo accordo con il governo di Berna; 5 miliardi potrebbero venire da incentivi e disincentivi fiscali volti all’allungamento delle scadenze e alla riduzione del costo medio del debito pubblico. Contributi, a cui se ne aggiungono altri autorevoli come quello firmato da Savona e Rinaldi o la patrimoniale ordinaria del Pd, che il governo sta prendendo in considerazione. E’ in corso, per dirla con le parole del leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, una sorta di inventario delle proposte. Ma il governo, ovviamente, ha una strategia propria. A Palazzo Chigi e a via XX Settembre, fanno presente fonti di governo, i tecnici sono già al lavoro da tempo e “le idee sono chiare, sia per quanto riguarda gli strumenti sia per la tempistica dei provvedimenti da mettere in campo”.
La consultazione e poi la sintesi del governo Monti
Come ormai sta diventando prassi consolidata nell’azione di governo, in sostanza, alla fase della consultazione, seguirà quella della sintesi, della decisione politica. Anche perché l’azione del governo deve tenere conto di diversi parametri che inducono alla cautela. Come dimostrano le stime e le priorità già indicate da Grilli. Non ci sono più gli asset vendibili dello Stato e degli enti pubblici, come vent’anni fa, ha chiarito il ministro dell’economia, descrivendo un patrimonio immobiliare di difficile valorizzazione. Per questo, secondo il ministro, la strada praticabile è quella di garantire, con un programma pluriennale, vendite di beni pubblici per 15-20 miliardi l’anno, pari all’1 per cento del Pil. Per ora c’è la base già prevista dal dl dismissioni, poi confluito nel dl spending review appena approvato in via definitiva.
Il decreto legge prevede il diritto di opzione per l’acquisto da parte di Cassa depositi e prestiti delle partecipazioni azionarie detenute dallo Stato in Fintecna, Sace e in Simest. L’importo complessivo della vendita che presumibilmente si aggirerà intorno ai 10 miliardi, sarà utilizzato proprio a riduzione del debito. Lo stesso provvedimento prevede anche la costituzione di un fondo immobiliare al quale verranno conferiti tutti gli immobili pubblici, sia dello Stato (comprese le caserme), sia degli enti territoriali (compresi quelli dei Comuni). Gli immobili, anche con l’ausilio di Cdp, verranno valorizzati e venduti. Gli enti proprietari degli immobili avranno quote di partecipazione al fondo e risorse liquide da utilizzare a riduzione del proprio debito.
Il piano taglia debito della Fondazione Astrid
Nel piano ‘taglia debito’ presentato da undici esperti della Fondazione Astrid, tra i quali Giuliano Amato e Franco Bassanini, al Premier Mario Monti e al ministro dell’Economia Vittorio Grilli figurano la cessione di immobili per circa 72 miliardi (di cui: 30 dalla cessione agli inquilini dell’edilizia residenziale pubblica; 16 dalla dismissione di immobili di enti previdenziali; 15 da immobili di Regioni ed enti locali; 6 da caserme e sedi delle Province da smantellare; 5 dal cosiddetto federalismo demaniale). Trenta miliardi potrebbero venire dalla capitalizzazione delle concessioni (le sole lotterie danno 1,6 miliardi l’anno); 40 miliardi valgono le partecipazioni (Eni, Enel, Finmeccanica, St Microelectronics ed ex municipalizzate quotate); 15 miliardi potrebbero venire imponendo agli enti previdenziali degli ordini professionali di aumentare la quota dei loro investimenti in titoli di Stato di lungo periodo, oggi ferma al 10% del portafoglio (considerando i maneggi sugli immobili, ne avrebbero giovamento i pensionati futuri); 16-17 miliardi potrebbe essere il flusso nel quinquennio proveniente dalla tassazione dei capitali clandestinamente costituiti da italiani in Svizzera, previo accordo con il governo di Berna; 5 miliardi potrebbero venire da incentivi e disincentivi fiscali volti all’allungamento delle scadenze e alla riduzione del costo medio del debito pubblico.
Le dismissioni del patrimonio pubblico
Palazzi storici, mega caserme e anche un castello cedesi al miglior offerente. La stagione delle dismissioni entra nel vivo e nel tentativo di far cassa e ridurre anche i costi di gestione, il governo italiano si appresta a metter sul mercato un patrimonio immobiliare che, quasi sempre, costa molto più di quello che rende. E l’incasso alla fine potrebbe essere di tutto rispetto: 1,5 miliardi dalla prima tranche (350 immobili) ma con un portafoglio complessivo potenziale da mettere su mercato che vale ben 42 miliardi. Non male in tempi di austerity e di riduzione obbligata del debito pubblico. Il ‘nuovo mercato’ attira chiaramente gli investitori dall’estero considerato soprattutto il momento di estrema volatilità dei mercati finanziari.
Il mattone è infatti ancora appetibile: si può svalutare ma resta dove uno l’ha comprato. La possibilità di fare affari nel Belpaese non è sfuggita al Wall Street Journal che nell’edizione odierna segnala ai propri lettori che palazzi e castelli italiani sono in vendita. E non si tratta di immobili sconosciuti: Palazzo Bolis Gualdo a Milano, Palazzo Diedo che affaccia sul Canal Grande a Venezia, le caserme di Bologna e perfino un castello, quello Orsini di Soriano del Cimino, “costruito da un Papa e in seguito usato come prigione”. Si tratta – spiega il quotidiano – di alcune delle 350 residenze da sogno, valore stimato 1,5 miliardi di euro secondo l’Agenzia del Demanio, che lo Stato italiano mette sul mercato. “Per gli investitori che bramano di possedere un palazzo italiano, un castello o un altro immobile storico, adesso potrebbe essere il momento di colpire”, scrive il Wsj, che ricorda come “il piano per l’economia del primo ministro Mario Monti, vicino al passaggio finale, includa la vendita di 350 edifici, insieme ai tagli alla spesa pubblica e altre misure di austerity”.
Le agenzie governative, afferma il Wsj citando un report del capo economista della Cdp, Edoardo Reviglio, hanno un portafoglio di immobili del valore di circa 42 miliardi di euro e “trasformare queste proprietà in contanti sarebbe una strada rapida per far salire le entrate”. Tuttavia, il quotidiano elenca anche le difficoltà di realizzazione del piano di dismissioni: la crisi dell’euro, che allontana gli investitori istituzionali da Paesi come Italia, Spagna e Grecia, la burocrazia italiana “notoriamente lenta”, le necessarie ristrutturazioni, le difficoltà di trovare inquilini interessati in tempi di recessione. Insomma si parte con le vendite con un occhio all’enorme stock di debito da ridurre: lo Stato – indicava giorni fa il dirigente generale del Ministero dell’economia Francesco Parlato alla commissione Bilancio della Camera – possiede immobili per un valore di 240-320 miliardi di euro, ma solo il 30% è vendibile. Su 530 mila unità immobiliari censite, pari a 220 milioni di metri quadri, il 70% è destinato ad attività istituzionali e il 9% a uso residenziale.