L’Italia sarà il primo paese produttore di vino biologico in Europa, prima della Francia e della Spagna. La prima che potrà scrivere in etichetta “vino biologico”: un marchio che, secondo il Comitato permanente per la produzione biologica della Ue, “è destinato a migliorare la trasparenza degli ingredienti del prodotto”. La norma appena entrata in vigore però sarà pure un passo in più, ma, come è stato dichiarato da molti, non sapendo in quale direzione si vada.
L’Italia sarà il primo paese produttore di vino biologico in Europa, in termini di quantità, prima della Francia e della Spagna. Secondo il Sinab, il sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica del Mipaaf , gli ettari coltivati a vite biologica sono ad oggi 52.273, di cui 21.931 in conversione. La Sicilia ha il maggior numero di ettari, passati da 10 mila a 17 mila in un solo anno (dal 2009 al 2010), poi c’è la Puglia con oltre 8 mila ettari e poi la Toscana con 6 mila.
A febbraio dunque, dopo oltre vent’anni di discussioni, era stata approvata la normativa europea sul vino biologico, che è entrata in vigore il primo di agosto. In Italia non senza difficoltà, dato che il decreto ministeriale contenente le disposizioni applicative è stato pubblicato solo il 31 di luglio e gli organismi di controllo non hanno mai ricevuto una specifica autorizzazione su procedure e personale ispettivo annunciata dal Mipaaf, che ha rischiato di bloccare tutta la filiera: ma specie i prodotti derivati dal vino biologico, come aceto balsamico e mosti concentrati.
Ad ogni modo, esaminando la normativa appena entrata in vigore, per quanto essa consenta di produrre vino biologico, non pare affatto favorire la produzione di vino di qualità. E dunque non favorisce nemmeno la coltivazione di uva di qualità, nelle aree vocate che hanno sempre meno bisogno di trattamenti fitosanitari rispetto alla coltivazione in aree non vocate. Del resto la viticoltura stenta a sopravvivere nelle aree vocate, che richiedono maggior costi di produzione, mentre continua a espandersi nelle aree non vocate. Non sembrano però spaventare gli effetti nocivi di quelli che comunemente sono chiamati “pesticidi”: la Francia ha da poco riconosciuto il morbo di Parkinson come malattia professionale degli agricoltori, grazie alle battaglie dell’associazione Phyto-Victimes (qui gli studi più rilevanti).
Tornando alla nuova normativa europea, essa definisce dei parametri di vinificazione biologica che differiscono ben poco da quella convenzionale. Sono stati aboliti alcuni coadiuvanti e additivi, che passano da 68 a 44, alcuni dei quali (gelatina alimentare, proteine vegetali ottenute da frumento o piselli, colla di pesce, ovoalbumina, tannino) dovranno provenire da agricoltura biologica. Come dire badare alla pagliuzza e non alla trave. E anzi peggio, dato che dal 30 di giugno c’è l’obbligo di indicare in etichetta la presenza di albumina o caseinato se viene usata durante la vinificazione, in quanto potrebbe provocare allergie: e dunque avremo vino che “contiene uova e derivati” e “contiene latte e derivati”.
Come ha scritto giustamente un produttore riportando le analisi del suo Barolo: “Quanta albumina rimane realmente nel vino? Il limite per l’obbligo della dicitura in etichetta è 0,25 mg/l , l’analisi fatta sul mio barolo è pari a zero…Pensare che l’EFSA ci ha impiegato 3 anni per decidere su questo pseudo-problema”.
Nella vinificazione biologica saranno comunque ammessi l’acido ascorbico, la gomma arabica e i trucioli di quercia o chips. Questi ultimi con funzione aromatizzante che simula l’affinamento nelle botti piccole o barrique: invece di mettere il vino nelle botti, si mettono le botti nel vino, con un processo che a tutti gli effetti è di infusione. Il segretario di Assobio Roberto Pinton ha lamentato che “dato che anche sulle querce si ricorre a trattamenti (contro insetti defogliatori, xilofagi e funghi), non sarebbe stato inopportuno prevedere che le essenze di provenienza dei chip non fossero state trattati con sostanze non ammesse in agricoltura biologica e che fosse richiesta quantomeno una dichiarazione del fornitore sulla situazione dei boschi di prelievo non limitrofi a fonti di inquinamento quali inceneritori, discariche o centrali nucleari”.
Quanto ai solfiti, uno dei motivi per cui non si raggiungeva un accordo per approvare il nuovo regolamento, sono stati ridotti di una misura che ne ammette comunque ancora un’alta percentuale nei vini.
Quanto ai procedimenti enologici: sono state vietate le dealcolazioni, le desolforazioni, l’elettrodialisi e gli scambiatori di cationi per la stabilizzazione tartarica, la concentrazione a freddo. Ma sono ancora ammessi: l’osmosi inversa per l’arricchimento dei mosti; le resine a scambio ionico per il mosto concentrato rettificato; il trattamento termico fino a 70°C; la microcentrifugazione e la microfiltrazione. Tutte pratiche, pertinenti più all’industria che al produttore artigiano, che vanificano la coltivazione di uva di qualità e il mosto che ne deriva. Dunque il logo di vino biologico garantisce ben poco, e nemmeno una vera salvaguardia dell’ambiente: giacché nell’agricoltura biologica è ammesso il rame. Inquinante del terreno, specie nel Nord Europa che ha terreni acidi dove è pericolosissimo perché viene assorbito dalla pianta. Peraltro il rame però è tossico anche verso i batteri e i funghi e tutti gli esseri viventi che popolano il terreno e che sono intossicati. Tanto è che non si era mai usato in agricoltura fino alla fine dell’Ottocento, ossia finché non si sono “importati” dall’America oidio e peronospora, oltre che la fillossera.
Insomma la norma appena entrata in vigore sarà pure un passo in più, come è stato dichiarato da molti, ma non sapendo in quale direzione si vada.