L’Osservatorio siriano per i diritti umani fissa a 167 il numero delle vittime di ieri in tutto il paese, tra cui 95 civili. La conquista di Salaheddine, uno dei quartieri chiave per il controllo della città, sembra essere stata accuratamente pianificata dai militari del regime
E’ il giorno della ritirata dal quartiere di Salaheddine, ad Aleppo, per i combattenti del Free Syria Army. Dopo giorni di scontri durissimi con l’esercito regolare, che ha fatto affluire in città migliaia di soldati di rinforzo e decine di carri armati e veicoli blindati, il comandante locale del Fsa, Wassel Ayub ha spiegato all’Agence France Presse di aver dato l’ordine di indietreggiare. “Abbiamo deciso per una ritirata strategica da Salaheddine – ha detto Ayub – Il quartiere ora è completamente vuoto di combattenti e le forze del regime stanno avanzando”. La conquista di Salaheddine, uno dei quartieri chiave per il controllo di Aleppo, sembra essere stata accuratamente pianificata dall’esercito governativo, che ieri aveva lanciato l’offensiva terrestre, dopo giorni di attacchi condotti soprattutto con gli elicotteri da combattimento.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani, da Londra, fissa a 167 il numero delle vittime di ieri in tutto il paese: 95 civili, 54 soldati governativi e 18 combattenti ribelli. La conquista di Salaheddine, però, non sembra segnare ancora la fine dei combattimenti nella seconda città del paese per importanza: secondo al Jazeera, dall’alba di oggi ci sono scontri in almeno altri quattro quartieri, Hanano, Saif al-Dawla, Shaar e Sakhur. Sono i quartieri dove, secondo quanto sostenuto dal comandante Ayub raggiunto per telefono dall’Afp, si è concentrata la controffensiva dei ribelli, che avrebbero riconquistato così una parte del terreno perduto. La ritirata dei ribelli da Salaheddine è confermata anche dall’iraniana Press tv che aggiunge che l’esercito regolare avrebbe ucciso “decine di insorti” nei quartieri di Hanano, Asileh e Bab al-Nasir. Secondo Press tv, inoltre, la Francia avrebbe mandato ‘truppe’ in Giordania, al confine con la Siria, ufficialmente solo per aiutare le decine di migliaia di profughi siriani che stanno entrando nel regno hashemita, ma in realtà per “appoggiare gli insorti che combattono contro il governo”. Stando ad Al Arabiya, peraltro, il governo siriano avrebbe perso un altro pezzo: il capo del protocollo del palazzo presidenziale Muhi al-Din Maslamani, avrebbe scelto di schierarsi con i ribelli e sarebbe ora “in un luogo sicuro in Siria”.
A Damasco, intanto, il presidente Bashar Assad ha nominato un nuovo primo ministro, chiudendo così l’interim dato a Omar Ghalawanji dopo la defezione, domenica scorsa, del premier in carica Riad Hijab. Il nuovo capo dell’esecutivo è Wael al-Halqi, classe 1964, già ministro della sanità. Halqi è originario di Deraa, nel sud del paese, la provincia da dove, 17 mesi fa, è iniziata la rivolta contro il governo di Assad. La notizia della nomina è stata data dalla tv di stato siriana. Sul fronte diplomatico, intanto, la notizia principale è l’avvio a Teheran, di una conferenza organizzata dalla diplomazia iraniana con i rappresentanti di una trentina di paesi, soprattutto della regione. La conferenza è stata aperta dal ministro degli esteri di Teheran, Ali Akbar Salehi che, secondo l’agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna, ha detto che “l’Iran ha sempre invocato l’uso di mezzi pacifici per risolvere la crisi e ristabilire la tranquillità, attraverso riforme politiche e andando incontro alle richieste dei cittadini”. In questa cornice, ha detto ancora Salehi, “l’Iran non condivide le sanzioni internazionali che non fanno altro che aumentare le sofferenze del popolo siriano» e considera un errore strategico «peggiorare il conflitto armando i gruppi dissidenti o preparando il terreno per la presenza di gruppi estremisti come al-Qaida”. Tutti i paesi in qualche modo coinvolti, secondo Salehi, devono accettare il fatto che la crisi non possa essere risolta con mezzi militari ma solo attraverso un dialogo nazionale, dialogo che l’Iran “è pronto a ospitare”. Dopo aver condannato l’uccisione di civili “da entrambe le parti”, Salehi ha ricordato che Teheran ha appoggiato pienamente il piano di pace di Kofi Annan e che ha inviato in Siria aiuti umanitari “comprese medicine, equipaggiamento medico e ambulanze”.
L’iniziativa di Salehi, che stando agli estratti del suo discorso diffusi dalla Irna, ha parlato di “gruppi dissidenti” e non di “terroristi”, è un pezzo importante della rete che la diplomazia iraniana sta tessendo per assumere il ruolo di mediatore credibile tra le parti in conflitto. Un ulteriore tessera di questo mosaico diplomatico dovrebbe venire dall’incontro tra il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e i vertici dello stato saudita, nel prossimo vertice dell’Organizzazione della Cooperazione islamica, previsto dal 13 agosto alla Mecca, nonché dal summit dei paesi Non Allineati, a fine mese a Teheran. Nella capitale iraniana sono attesi anche rappresentanti del governo russo e turco – la Turchia però deve ancora confermare la propria adesione – che formalmente non fanno parte dei Non Allineati. Nessuno dubita che i due vertici saranno occasione per incontri bilaterali dai quali potrebbe uscire qualche importante novità proprio per il futuro della Siria.
di Joseph Zarlingo