Quando il sole tramonta su Catania, alla fontanella all’angolo di Corso Martiri della Libertà c’è sempre la fila. Chi lava vestiti usurati, chi riempie d’acqua bidoni e taniche. Qualcuno provvede all’igiene personale dopo l’ennesima giornata di caldo afoso. Sono bulgari e romeni per la maggior parte. Donne, uomini, bambini. Gli abitanti delle bidonville cresciute in pieno centro, tra montagne di rifiuti, dentro le voragini che da cinquant’anni rappresentano il biglietto da visita per chi arriva in treno ai piedi dell’Etna. Corso Martiri della Libertà unisce il mare e la stazione al cuore nobile e barocco della città. Asse principale, ma vuoto. Sventrato negli anni ‘50 da una delle più grandi speculazioni immobiliari della storia d’Italia: il risanamento del quartiere San Berillo, centro di prostituzione ma anche operoso quartiere commerciale della città. Una riqualificazione rimasta incompleta, perché i lavori furono bloccati dalla magistratura, che contestò a funzionari comunali e dirigenti di alcune società coinvolte nei lavori, il reato di peculato per due miliardi e mezzo di lire ai danni dell’ente pubblico. Quello che rimane sono tre enormi fosse, diventate adesso dormitorio per 160 persone, secondo le stime del Comune.
Baracche di legno, plastica, materiale recuperato tra i rifiuti, dove vivono fianco a fianco topi e bambini. A due passi dalla stazione dei treni e degli autobus, ma nascoste da una barriera di lamiera alta diversi metri. Per accorgersene bisognerebbe infilare il naso in una breccia del muro. Ma basta l’odore per avvertirne la presenza. “È una situazione raccapricciante, a San Berillo si violano i diritti umani” denunciano le associazioni cittadine. Mentre il Comune resta a guardare, in attesa che le ruspe ad ottobre entrino in azione. Dopo decenni di contenziosi con i privati proprietari delle aree di Corso dei Martiri, infatti, l’amministrazione guidata dal sindaco Raffaele Stancanelli ha siglato un accordo per la definitiva riqualificazione. Il progetto, al vaglio dei tecnici dell’urbanistica ma per cui non è prevista l’approvazione da parte del consiglio comunale, è firmato da Mario Cucinella, architetto di fama internazionale, formato alla scuola di Renzo Piano, e con una riconosciuta attenzione alla sostenibilità ambientale. Al posto delle baraccopoli sorgerà un boulevard alberato riservato a pedoni e ciclisti. Ai suoi lati, 240 mila metri cubi di nuovi edifici: musei, teatri, alberghi e negozi. Lì dove adesso manca tutto, dall’elettricità ai bagni, dovrebbero trovare posto piccole oasi d’acqua e terrazze su tre livelli che ospiteranno attività commerciali e verranno ricoperte di prato verde.
L’investimento da parte dei privati è di 200milioni di euro e i lavori, secondo le previsioni dell’amministrazione, potrebbero partire ad ottobre. “Fino ad allora non muoveremo un dito per eliminare il problema delle baraccopoli”, annuncia l’assessore alle Politiche Sociali, Carlo Pennisi, che lo scorso gennaio aveva provveduto ad un primo sgombero delle aree. “È vero che le condizioni sono invivibili – continua l’assessore – ma non è in corso un’emergenza sanitaria perché non ci sono pericoli per l’esterno. Piuttosto c’è un problema di ordine pubblico, perché spacciano e si prostituiscono. La vera emergenza è in altri campi”. Nel frattempo crescono il malcontento e la tensione tra i residenti della zona. Qualcuno ha paura di uscire di casa a tarda sera, temendo di trovarsi in situazioni imbarazzanti o pericolose. Mentre non si arresta il passaparola su presunti furti. Il Comune gestisce le politiche di accoglienza attraverso il Presidio Leggero, un servizio di prossimità garantito da operatori pubblici e privati sociali come la Caritas. Ma in città sono cresciuti gli assembramenti abusivi, mentre la realizzazione di un campo di transito regolare ed attrezzato viene continuamente rinviata.
“Tra queste persone c’è chi può restare, chi deve tornare a casa, chi dovrebbe andare in galera – sottolinea Pennisi – Solo quando avremo un quadro completo potremo parlare di un campo di transito”. Nel frattempo non c’è spazio per nessuna concessione. “Al netto di problemi di tipo sanitario – confessa l’assessore – queste persone non devono stare comode. Anzi, devono stare scomode così è più facile che decidano di andarsene. L’assistenzialismo di molte associazioni caritatevoli non serve ed è pernicioso”. Circa un centinaio, tra bulgari e romeni, avevano provato da soli a trovare un’altra sistemazione, occupando un vecchio stabile comunale abbandonato. Ma sono stati sgomberati. Qualcuno è tornato in patria. Per la maggior parte si sono riaperte le porte della bidonville. Il loro futuro? “Non sono catanesi – spiega l’assessore alle Politiche Sociali – quindi il Comune non può sostenerli con il buono casa. Ad ottobre, quando avremo la certezza dell’inizio dei lavori, chiederemo l’aiuto finanziario dei privati proprietari delle aree per trovare una sistemazione in social housing o rispedirli nei loro Paesi”. In attesa, continua la convivenza forzata con i topi, tra rifiuti cotti ai 40 gradi dell’agosto catanese.