Dopo la pubblicazione del mio post “Triste lo Stato che ha bisogno delle quote rosa” ho ricevuto dai lettori molti feedback stimolanti che mi danno ora modo di allargare le mie riflessioni e rendere più chiara la mia posizione.

Parto dalla seguente domanda che mi è stata rivolta da una lettrice che mi conosce, sa di cosa mi occupo e lei stessa ha a cuore le tematiche di genere : “ Credi che sia solo una questione di merito e bravura le possibilità che hai avuto di ottenere spazio sulle questioni di genere o anche il fatto che sei raro, in quanto uomo, ad interrogarti? Pensi che forse non ci sono donne più qualificate? Non credi di aver avuto dei vantaggi di genere anche in questo? Attento a come procedi con queste riflessioni, perché la tua posizione di privilegio maschile dovrebbe essere sempre agita con molta consapevolezza ed attenzione”

Si, io, uomo, sono un “privilegiato”. Il fatto che io abbia da dire e soprattutto possa dire qualcosa, suscitando attenzione ed interesse per quello che esprimo, sulle questioni di genere non può non essere ricondotto anche al mio essere uomo in un contesto dove a muoversi sono soprattutto le donne. Quindi, a prescindere dai contenuti, quello di cui parlo acquista un valore solo perché sono di sesso maschile. Dirò di più, lavoro da anni nel sociale e sono ben consapevole che la figura maschile è spesso privilegiata perché molto più rara della figura femminile, quindi indubbiamente il genere è stato per me un vantaggio nel contesto lavorativo. Ed io dovrei esserne contento? In virtù di quale logica?

So di avere delle qualifiche e delle competenze e di avere raggiunto dei risultati e dovrei avere piacere che questo possa venire “compromesso” da un privilegio di cui non sento il bisogno e che non ho richiesto? Se valgo qualcosa lo devo dimostrare e per dimostrarlo devo dare dei risultati e sui risultati, non sul genere, che esigo una approvazione o meno. Personalmente per me sarebbe triste essere assunto in qualche azienda perché uomo, passando davanti a donne più qualificate, e ho il sospetto che molte donne, a situazioni invertite, avrebbero sensazioni simili alle mie.

Stabilire a priori delle percentuali di genere sulle assunzioni non mi sta bene perché non è meritocratico. Mi si dirà correttamente che non è meritocrazia neanche lo stato attuale in cui l’essere uomo porta indiscutibili vantaggi. In questo momento storico dove i contratti sono per lo più a tempo determinato ed in cui si stanno smantellando troppe garanzie sui luoghi di lavoro per molte donne deve, ad esempio, essere una scelta drammatica decidere di diventare madre, allontanarsi dal lavoro potrebbe significare non ritrovarlo più e questo è inconcepibile in uno Stato che si rispetti. E’ inconcepibile e lo voglio sottolineare. Nonostante questo, io non credo che le quote rosa siano una soluzione al problema perché sono una imposizione e non vanno alla radice del problema.

La mia esperienza clinica e personale nelle relazioni è che niente di buono può nascere dalle imposizioni e se non è “naturale” che ad essere assunti siano più uomini che donne non lo è nemmeno rendere obbligatorio il tutto con percentuali prestabilite. E’ una forzatura che, nel migliore dei casi, potrebbe fare da tampone momentaneo.

Inoltre logica vuole che, con il principio delle quote rosa applicato, sarebbe corretto che avessero la loro proporzionale rappresentanza gli omosessuali e le persone di diverso orientamento sessuale, altrimenti non ci vedo un reale tentativo di parità.

Non considero le donne una specie da proteggere, mi batto perché abbiano gli stessi diritti e le stesse opportunità degli uomini, niente di meno, niente di più.

di Mario De Maglie

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