Un codice del browser di Cupertino ha permesso al motore di ricerca di installare un cookie all’insaputa degli internauti. La questione si è chiusa con una sanzione record ma senza ammissione di colpa. E Microsoft ne approfitta per rilanciare Explorer "che tiene conto della privacy"
Ammonta a 22,5 milioni di dollari la multa inflitta a Google dalla Federal Trade Commission per i problemi di privacy legati a Safari, il browser di casa Apple. Per alcuni mesi a cavallo tra il 2011 e il 2012 Google avrebbe infatti inserito in Safari, a insaputa degli utenti, un cookie con cui teneva traccia dei movimenti su internet degli utenti Mac, iPhone e iPad. A segnalarlo è stato il Wall Street Journal attraverso un rapporto che ha fatto esplodere una vera e propria bomba mediatica intorno al mese di febbraio.
L’inchiesta evidenziava come Google avesse sfruttato un exploit (un codice che utilizza le vulnerabilità di sistemi operativi e applicazioni, ndr) nel codice di Safari per forzare il browser di Cupertino ad accettare un cookie passivo, senza alcun intervento dell’utente e in barba alle impostazioni che in automatico non permettevano questa pratica. Safari sarebbe stato messo nelle condizioni di non riconoscere il cookie come estraneo ma come inviato direttamente da Google e per questo sicuro. In realtà l’applicazione teneva conto della navigazione degli utenti senza che gli stessi ne fossero consapevoli: a riprova di questo aspetto è stata la grande sorpresa dei clienti Apple, completamente ignari di quanto stava accadendo. La notizia appena diramata ha sorpreso sia utenti che addetti ai lavori ma è stata immediata la risposta di Google che ha cercato di stemperare la questione: “Il Wall Street Journal ha descritto in modo eccessivo quello che è successo perché abbiamo solamente usato una caratteristica di Safari per dare agli utenti alcune funzionalità, già abilitate da chi si era loggato in Google. In ogni caso è importante sottolineare come questi cookies pubblicitari non raccolgano informazioni personali”.
Decisamente diversa invece la posizione tenuta dalla EFF (Electronic Frontier Foundation) che si è scagliata contro il colosso di Mountain View accusandolo di aver infranto la privacy dei suoi utenti. Per Microsoft invece è stata un’occasione ghiotta per infliggere una piccola stoccata ad Apple grazie ad un comunicato a firma di Ryan Gavin in cui si invitavano gli utenti a passare a Internet Explorer 9 sottolineando come Microsoft “tenga alla privacy dei suoi utenti”. Il caso mediatico, che ha fatto discutere i vertici delle aziende ma che non sembra aver intaccato più di tanto la sicurezza dei navigatori, giunge ora ad una conclusione che, se da una parte vede protagonista una multa record, dall’altra non sembra aver convinto tutti.
La multa di 22,5 milioni di dollari è attualmente la pena pecuniaria più alta che sia mai stata inflitta dalla Federal Trade Commission ad una sola azienda, anche se la cifra sarebbe il risultato di un accordo raggiunto congiuntamente con i dirigenti di Big G. Il pagamento della multa, se pur di cifra consistente, non causa infatti per l’azienda un buco di bilancio ma nasconde al suo interno la “non ammissione di alcuna colpa” da parte di Google. Fedina pulita, rimozione dei cookies incriminati, multa pagata ed è praticamente come se nulla fosse successo. Per Jon Leibowitz, presidente della Federal Trade Commission, “la multa invia un chiaro messaggio a tutte le aziende: non importa quanto si è grandi o piccole, quello che veramente importa è che tutte devono mantenere le promesse fatte con i consumatori in termini di privacy”. Di diverso avviso invece John Simpson, direttore del Progetto Privacy per la Consumer Watchdog che ha dichiarato: “Mentre 22,5 milioni di dollari rappresentano un record per la Ftc, allo stesso tempo sono assolutamente insufficienti se si considera che Google ha rifiutato di ammettere eventuali responsabilità o illeciti. La Commissione ha permesso a Google di comprarsi una via d’uscita per un importo che probabilmente è inferiore a quello che spende per i pranzi dei suoi dipendenti e facendolo senza alcuna ammissione ha commesso un errore”.