La colpa è nostra, di noi giornalisti. Troppo impegnati a creare fenomeni mediatici pre/confezionati, precotti e digeriti dalla massa. Vedasi Federica Pellegrini, molto rumore per nulla. Anche se adesso le parole del padre della patria potrebbero insegnarle una lezione di umiltà. Winston Churchill, dopo la fine della seconda guerra mondiale e all’indomani della sua inaspettata sconfitta alle elezioni, disse lapidario: ” Si vince anche quando si perde”.
La colpa è nostra, tutti presi e compresi dal personaggio del momento, abbiamo trascurato le graziosissime atlete della ginnastica ritmica di gruppo, pluricampionesse del mondo. E mentre Federica, la più favorita delle nostre, colava a picco e la squadra di nuoto si azzuffava fuori dall’acqua, le farfalle azzurre spiccavano il volo. Belle anche da ferme, fisici scolpiti da indossatrici (non anoressiche). Ginnaste, ballerine e giocoliere, con palle, cerchi e nastri. Grazia, precisione ed eleganza in un capolavoro di coordinazione, una performance tra le più accattivanti e coreografiche di tutte le Olimpiadi. Con piroette, spin e spaccate in aria hanno dato filo da torcere sul centesimo alle inarrivabili russe, inventrici di questa disciplina.
La ginnastica ritmica è uno sport, almeno a livello olimpico, molto giovane. Inserita nel programma solo a partire del 1984 (Olimpiadi di Los Angeles) con la prova individuale e, a partire dal 1996 (Atlanta), per quanto riguarda la prova a squadre. Le farfalle azzurre si chiamano Elisa Santoni, Elisa Blanchi, Anzhelika Savrayuk, Romina Laurito, Marta Pagnini e Andrea Stefanescu. Ma in quanti conosciamo i loro nomi? Eppure hanno vinto una medaglia d’argento alle Olimpiadi di Atene. In questo siamo un po’ cialtroni, sembriamo apprezzare lo sport soltanto quando si accompagna alla fama e al denaro. Restiamo indifferenti al talento, alla fatica e al sudore degli sport meno “noti” e meno ricchi.