La notizia della richiesta di apertura di una pratica al Csm in relazione alla lettera che il Procuratore Generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato ha idealmente rivolto a Borsellino il 19 luglio scorso mi è sembrata troppo paradossale per restare in silenzio.
Quello straordinario discorso, capace di scuotere la mia coscienza e andare oltre l’apparenza di tante vuote celebrazioni, non poteva diventare motivo di censura e critica… Ho allora pensato, insieme ad alcuni colleghi, di raccogliere l’adesione di tutti quei magistrati che invece sentivano di voler difendere il diritto del collega Scarpinato a esprimere le proprie opinioni e insieme volevano sottoscrivere personalmente quelle parole.
In questo modo (e grazie in particolare alla collaborazione del collega Messina, giudice a Trani) è nata la lettera che riporto qui di seguito e che verrà presto inviata al Csm: fino ad oggi è stata firmata da oltre 370 magistrati di tutte le latitudini (tra cui mi permetto di citare in ordine sparso De Pasquale, Lari, Morvillo, Natoli, Ielo, Profiti, Tarfusser e De Cataldo) oltre a moltissime persone della società civile (Jole Garuti, Nando Dalla Chiesa, giornalisti, insegnanti, studenti e comuni cittadini) e associazioni (Unione Familiari Vittime per Stragi, Antimafia Duemila e molte altre).
Il contrasto all’illegalità e la lotta ai poteri corrotti nasce anche dalla capacità delle istituzioni (magistratura inclusa) e della società civile di esprimere sostegno e vicinanza alle persone che sono più esposte in questa quotidiana difesa dei valori costituzionali (magistrati, forze dell’ordine, insegnanti, cittadini comuni).
SOSTEGNO a ROBERTO SCARPINATO e alla LIBERTA’ di ESPRESSIONE
Chi ha memoria storica e consapevolezza culturale sa che la storia del nostro paese è anche la storia di poteri criminali che ne hanno condizionato lo sviluppo sociale, politico ed economico.
Chi ha una coscienza morale e professionale e il coraggio di non rassegnarsi a quello che è accaduto ed accade nel nostro Paese, ha il dovere civico di associare il proprio impegno professionale e culturale alla difesa intransigente dei valori costituzionali e di opporsi al rischio di un progressivo svuotamento dello statuto della cittadinanza che, lasciando spazio al crescere di una rassegnata cultura della sudditanza, determina il degrado del vivere comune a causa del proliferare di sopraffazioni, arroganze e cortigianerie interessate.
Chi, oltre a possedere quella coscienza e quel coraggio, può spendere la credibilità di una vita passata a combattere i poteri criminali, ha il dovere e il diritto di marcare la differenza tra l’agire autenticamente democratico e quello di chi si adatta alle situazioni e preferisce il vivere mediocre che supporta e stabilizza le ingiustizie e le mistificazioni.
E’ il dovere della verità e della conoscenza ciò che qualifica la statura etica della persona, qualunque sia la sede o il contesto in cui si concretizza la sua esistenza.
La verità e la giustizia insite nella coscienza, nel coraggio, nell’impegno di ogni cittadino non possono essere fonte di equivoci o divenire espressione di un sapere egoistico in quanto socialmente limitato. Esse devono, invece, manifestare il pregio della chiarezza, della trasparenza, del riconoscimento, anche ricordando quanto la fatica giurisdizionale ha accertato nell’interesse primario del sapere collettivo.
Il 19 luglio 2012 Roberto Scarpinato ci ha ricordato la coscienza, il coraggio, l’impegno per la giustizia e la verità di Paolo Borsellino, il quale, esponendosi in prima persona, denunziò pubblicamente più volte come per mobilitare tutte le migliori risorse della società civile nel contrasto alla mafia, fosse indispensabile ripristinare la credibilità dello Stato minata da quanti, pur ricoprendo cariche pubbliche, conducevano tuttavia vite improntate a quello che egli definì il “puzzo del compromesso morale che si contrappone al fresco profumo della libertà”.
A venti anni dalla strage di via D’Amelio restano, purtroppo, attuali le sofferte parole che Paolo Borsellino, esempio illuminante di uomo di Stato, dedicò a questo tema e ricordate da Roberto Scarpinato: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita .. Che cosa si è fatto per dare allo Stato.. una immagine credibile?…. La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni“. “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle Forze dell’Ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”.
Lo scritto di Roberto Scarpinato, nella forma di una lettera ideale, così come gli era stato richiesto dai familiari di Borsellino, è stato un omaggio alla verità ed alla giustizia, un ringraziamento a Paolo Borsellino, un corrispondere a un debito di riconoscenza che mai salderemo del tutto.
E’ stato l’espressione concreta del dover essere al servizio della comunità attraverso una partecipazione “alta” alla vita della “polis”, finalizzata alla consapevolezza e alla responsabilizzazione critica di ogni cittadino.
Le parole di Roberto Scarpinato, nell’esaltare la cultura delle Istituzioni, sono state anche esempio di adeguatezza comunicativa: hanno assolto al dovere di comprensibilità verso chi ha meno presidi culturali, senza abbassare il sentimento di autentica giustizia, che troppo volte viene eluso preferendo la comodità del linguaggio autoreferenziale dei pochi, insensibile al desiderio di conoscere e di crescere culturalmente dei molti.
Il suo discorso non ha seguito la celebrazione del “mito” di Paolo Borsellino, tranquillizzante nella sua fissità sterile, ma ha voluto indicare l’Uomo e il Magistrato come suscitatore di coscienze profonde che avvertono l’ineludibile necessità di pensare e di agire nella prospettiva di un positivo cambiamento comune.
Abbiamo appreso dalla stampa che, a seguito della lettera dedicata da Roberto Scarpinato a Paolo Borsellino, è stata aperta presso la Prima Commissione del CSM una pratica per il suo trasferimento di ufficio e che la richiesta di apertura della pratica è stata trasmessa dal Comitato di presidenza del CSM alla Procura generale presso la Corte di Cassazione per eventuali iniziative disciplinari.
L’Associazione Nazionale Magistrati, il 26 luglio 2012, ha espresso sorpresa e preoccupazione per tale iniziativa ritenendo che quel discorso non possa essere inteso che come “manifestazione di libero pensiero, quale giusto richiamo, senza riferimenti specifici, nel ricordo delle idee e delle stesse parole di Paolo Borsellino, alla coerenza di comportamenti ed al rifiuto di ogni compromesso, soprattutto da parte di chi ricopre cariche istituzionali”.
Il discorso di Roberto Scarpinato, a nostro parere, merita di essere diffuso, nelle istituzioni e nelle scuole, tra i concittadini onesti ed impegnati. A titolo di merito per chi ha ricordato un pezzo della nostra storia con la credibilità del proprio passato. Come monito alle tante persone che si stanno formando una coscienza civile o a quelle che possono cedere alla tentazione della disillusione, e come esortazione a tener sempre un comportamento esemplare e onesto nell’interesse Stato democratico e costituzionale.
Non si tratta di discutere solo della possibilità di un magistrato (dell’autorevolezza di Roberto Scarpinato) di esprimere le proprie opinioni con la ponderazione e lo scrupolo che derivano dalla delicata funzione svolta, ma anche di assicurare alla collettività italiana il congruo bagaglio cognitivo ed etico.
C’è necessità di parlare con quella che i greci chiamarono “parresia”, ovvero con la libertà e il dovere morale di chi non teme di urtare la suscettibilità di alcuno perché non prevede di aver benefici o debiti nei confronti del Potere.
Per questi motivi facciamo nostre le nobilissime parole della lettera di Roberto Scarpinato a Paolo Borsellino.