È l’elemento cui si associa l’esistenza stessa della vita. Ma rischia di trasformarsi, al pari di petrolio, terrorismo e proliferazione delle armi nucleari, in causa di conflitti e morte. La domanda di acqua è diventata sempre più insostenibile in molte zone del pianeta. La conferma arriva dalle pagine della rivista Nature, grazie a un team d’idrogeologi canadesi della McGill University di Montreal. Nel loro studio gli scienziati hanno calcolato che più di un quinto della popolazione mondiale vive in zone in cui il consumo di acqua, soprattutto per attività agricole, è ormai più veloce della capacità del pianeta di rigenerarne le riserve. Riserve che spesso non rispettano i confini tra gli stati e rischiano, pertanto, di diventare oggetto di accesi contrasti tra i paesi interessati al loro sfruttamento. Per questo in molti documenti d’intelligence che illustrano gli scenari geopolitici più pericolosi per il futuro del pianeta, “l’oro blu” acquista sempre più un posto di rilievo.
“L’uso eccessivo delle riserve idriche del pianeta può portare a una drastica riduzione dell’acqua disponibile sia per dissetare le popolazioni sia per i raccolti che forniscono il cibo necessario al loro sostentamento”, afferma su Nature Tom Gleeson, idrogeologo a capo del gruppo di ricerca canadese. A conferma dell’allarme lanciato dagli scienziati, il recente rapporto dell’Unesco dal titolo “La gestione dell’acqua in condizioni d’incertezza e di rischio”, sottolinea che “India, Cina e Stati Uniti da sole utilizzano un terzo dell’acqua adoperata ogni anno nel pianeta”. E la stessa Fao – l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – stima che per sfamare una persona servono attualmente dai duemila ai cinquemila litri d’acqua al giorno.
Nella storia dell’umanità lo sviluppo delle civiltà è sempre dipeso dalla capacità dell’uomo d’incanalare e utilizzare le riserve d’acqua accumulate nel sottosuolo in migliaia di anni. Riserve preziose per dissetare le popolazioni, irrigare i raccolti e consentire lo sviluppo degli ecosistemi. Tutto questo, però, in futuro potrebbe essere a rischio. L’Onu stima che “la popolazione mondiale toccherà i nove miliardi nel 2050 e il bisogno di acqua per i soli processi di produzione di combustibile s’innalzerà del 50 per cento ”. Ricorrendo a modelli idrologici e confrontandoli con i dati sui consumi agricoli – pari al 70 per cento del totale, secondo le Nazioni Unite – gli studiosi canadesi sono riusciti a disegnare una mappa globale del rischio per circa ottocento riserve acquifere del pianeta. Le zone sotto stress sono spesso le più popolose e desertiche. Comprendono il bacino del Nilo, le cui preziose acque, che hanno reso grande il regno dei faraoni, sono contese ormai da dieci paesi oltre l’Egitto (nord e sud Sudan, Etiopia, Eritrea, Uganda, Kenya, Tanzania, Congo, Burundi e Ruanda). Ci sono poi le regioni bagnate dal Gange, fiume sacro che contrappone le due potenze nucleari asiatiche India e Pakistan. E, infine, la penisola arabica e le vallate delle zone centrali della ricca California. Proprio il bacino del Nilo è citato nelle analisi dell’intelligence Usa come una delle zone potenzialmente più instabili dal punto di vista geopolitico, a causa dell’oro blu. Soprattutto in seguito alla nascita, lo scorso anno, della repubblica indipendente del Sudan del sud, considerata una minaccia dall’Egitto per le sue pretese sulle acque del grande fiume. I tentativi di firmare nuovi accordi tra gli undici paesi limitrofi per soppiantare i vecchi trattati dell’era coloniale, risalenti al lontano 1929, finora si sono rivelati, infatti, un buco nell’acqua. Nonostante il quadro poco rassicurante, Gleeson e i suoi colleghi sono, tuttavia, fiduciosi nel futuro. “La maggior parte dell’acqua dolce del pianeta si trova nel suo sottosuolo come acqua di falda. Si tratta di una riserva enorme, che abbiamo l’opportunità di utilizzare in maniera sostenibile. Sempre che – conclude Gleeson – sceglieremo davvero di farlo”.