Ha ceduto, alla fine Google ha ceduto. Dopo anni di battaglie contro i giganti dell’entertainment e i grandi conglomerati della produzione culturale sul web che da sempre la accusano di fare poco o nulla contro i pirati del copyright, Mountain View si rivolta contro quel diritto che aveva sempre tutelato: la libera circolazione dei materiali su internet. Cambieranno gli algoritmi di indicizzazione e da lunedì il motore di ricerca penalizzerà chi viola il copyright: se un sito è colpito da un certo numero di richieste di rimozione, apparirà sempre più in basso nei risultati delle ricerche.

L’annuncio è arrivato questa notte tramite un post su un blog specializzato. La firma in calce è di Amit Singhal, il più alto in grado tra gli ingegneri del team che cura la ricerca, a suggellare l’importanza della decisione e il livello cui è stata presa. “Abbiamo elaborato 200 diversi criteri per far sì che i nostri algoritmi forniscano i migliori risultati – scrive Singhal – da lunedì ne avremo uno in più: il numero delle richieste di rimozione che riceviamo per ogni sito. Quelli che verranno colpiti dal maggior numero di richieste appariranno più in basso nei risultati delle ricerche”. “Da quando abbiamo riattivato la rimozione di contenuti per questione di copyright – si legge ancora – le richieste sono aumentate a dismisura. Solo negli ultimi 30 giorni ne abbiano ricevute 4,3 milioni. Ora useremo questi dati per penalizzare i siti che hanno violato il copyright”.

A maggio le richieste erano state un milione. Ma non ci saranno, garantisce ancora Singhal, rimozioni indiscriminate: “Google non può stabilire se un determinato contenuto è stato rubato. Per questo non rimuoveremo alcuna pagina finché non riceveremo una valid copyright removal notice dal proprietario dei diritti”. Google si toglie elmetto e corazza dopo le battaglie degli ultimi anni. L’ultima a gennaio, quando in discussione al Senato di Washington c’erano il Sopa e il Pipa, due proposte di legge poi accantonate che con il pretesto di fermare la piratera rischiavano di minare la libertà di espressione online. Le proposte prevedevano fino a 5 anni di carcere per chi avrebbe postato link coperti da copyright anche ad uso non commerciale, il blocco e il taglio dei finanziamenti dei siti che ospitano link “non autorizzati” e la rimozione dei contenuti sarebbe stata coatta e non avrebbe richiesto l’ok del giudice.

Sul web migliaia di utenti si erano mobilitati per “la più grande protesta della storia della rete” e Google era lì a fare le barricate con Wikipedia, Yahoo, Mozilla, Flickr e un Barack Obama già in piena campagna elettorale. Oggi Mountain View stringe la mano alla Motion Picture Association of America e ai giganti dell’entertainment, che quelle leggi avevano fortemente voluto, e lo fa soprattutto per ragioni commerciali. Da qualche mese negli Usa il colosso vende film e musica sul suo Play store, ma finora i ricavi sono stati di gran lunga inferiori alle attese. E questo nonostante gli smartphone dotati di Android stiano invadendo il mondo. Ora, annacquato il passato e dichiarata guerra a chi viola il copyright, Google può firmare accordi con etichette discografiche e case di produzione cinematografica per competere davvero con iTunes di Apple.

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