Domattina i sindacati si riuniranno per valutare la situazione e decidere come muoversi. Meno di due settimane fa le strade di Taranto sono state bloccate dalle proteste operaie e per due giorni è risultato difficile entrare e uscire dalla città. Uno scenario che, se la situazione dovesse precipitare ,rischia inevitabilmente di ripetersi
Si aggiunge un nuovo tassello nella complessa vicenda del sequestro dell’Ilva di Taranto. E il tassello è un altro provvedimento del gip Patrizia Todisco. Con una ulteriore ordinanza ha revocato per “palese conflitto di interessi” la nomina del presidente dell’impianto che produce acciaio e che è in parte sotto sequestro per disastro ambientale, Bruno Ferrante, a custode e amministratore degli impianti dell’area a caldo. Proprio il presidente in questi giorni e anche ieri ha prospettato scenari preoccupanti per l’occupazione se l’impianto non potrà produrre. Riflessione dello stesso ministro dell’Ambiente Clini. Nell’ordinanza il gip rileva, citando il lancio dell’agenzia Ansa in cui veniva annunciata l’impugnazione del provvedimento, che le “circostanze… rendono manifesta l’incompatibilità del presidente del Consiglio di amministrazione… con l’ufficio pubblico di custode e amministratore”.
Gli ultimi provvedimenti del gip Patrizia Todisco da un lato spingono l’Ilva a ricorrere subito al Tribunale del Riesame e dall’altro mettono in grande preoccupazione i sindacati che ora temono il fermo dell’acciaieria con contraccolpi occupazionali che dai dipendenti diretti – 11.500 – si estenderebbero progressivamente all’indotto di Taranto, agli stabilimenti Ilva della Liguria e alla filiera nazionale che utilizza l’acciaio per le sue attività. Le novità sono che, prim’ancora che il Riesame depositasse le motivazioni del provvedimento con cui ha confermato il sequestro dell’Ilva per disastro ambientale e incaricato i custodi di garantire la sicurezza degli impianti e togliere le situazioni di pericolo, il gip Todisco prima ha ribadito che la fabbrica si deve fermare per risanare gli impianti e che non c’è alcuna facoltà d’uso degli impianti a fini produttivi, quindi, con un ulteriore provvedimento, ha Ferrante dalla custodia giudiziale. Nell’ordinanza con cui il gip ha sequestrato le aree a caldo dell’Ilva lo scorso 25 luglio, Ferrante non faceva parte dei custodi. Lo ha invece inserito il Riesame nel dispositivo depositato martedì scorso dandogli le stesse mansioni degli altri custodi, ovvero garantire la sicurezza, eliminare i pericoli, attuare le misure necessarie, effettuare il monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti. Il gip Todisco, invece, prima ha delegato solo ad uno dei custodi, l’ingegnere Barbara Valenzano, l’attuazione delle misure operative, attribuendogli anche potere di spesa previo assenso dell’autorità giudiziaria, ed ha attribuito a Ferrante solo i compiti di datore di lavoro col compito di attuare le misure dell’autorizzazione integrata ambientale per le aree non soggette a sequestro. Quindi, con un ulteriore atto notificato ieri sera alle 20.30, Todisco ha revocato Ferrante dalla nomina a custode giudiziale ed ha richiamato Mario Tagarelli, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Taranto, già inserito nell’ordinanza del 25 luglio con compiti amministrativi. In quell’occasione a Tagarelli venne anche dato il compito di occuparsi della ricollocazione nello stabilimento del personale che, con lo stop dell’area a caldo – dai parchi minerali all’acciaieria – sarebbe rimasto inattivo.
Ilva e sindacati valutano con grande preoccupazione il fatto che alla fabbrica sia impedito produrre e consentito solo di risanare. Reazioni preoccupate vengono anche dal mondo della politica, a partire dal Pd al Pdl, uniti contro le decisioni del gip. Azienda e sindacati erano infatti fiduciosi che il Riesame, non parlando esplicitamente di chiusura della fabbrica nel dispositivo ma di risanamento, mentre il gip nell’ordinanza di luglio parlava di spegnimento degli impianti e di blocco delle lavorazioni, potesse consentire contestualmente una produzione minima e l’attuazione del risanamento stesso. Se gli impianti non producono, vanno spenti, è la tesi di azienda e sindacati. Inoltre si osserva che l’energia all’Ilva è assicurata dai gas di recupero degli altiforni e delle acciaierie, quindi fermare questi impianti significherebbe bloccare tutto lo stabilimento che a quel punto non avrebbe piùenergia. A quel punto nemmeno gli impianti non toccati dal sequestro, treni nastri e treni lamiere, potrebbero più funzionare e per l’Ilva sarebbe la paralisi totale. L’Ilva per ora non parla né di cassa integrazione, né di mobilità, ma rileva che una fabbrica inattiva e senza produzione non è affatto una prospettiva sostenibile. Domattina i sindacati si riuniranno per valutare la situazione e decidere come muoversi. Meno di due settimane fa le strade di Taranto sono state bloccate dalle proteste operaie e per due giorni è risultato difficile entrare e uscire dalla città. Uno scenario che, se la situazione dell’Ilva dovesse precipitare nelle prossime ore o nei prossimi giorni, rischia inevitabilmente di ripetersi.