Hanno in mente i giudici di Palermo, sanno che quei giudici toccano lava rovente e che se li lasci soli il pericolo è immenso. Sanno anche che c’è qualcosa di strano e di difficile da spiegare nel mettersi accanto a giudici che sono e dovrebbero essere (se possibile, da vivi) eroi di tutto il Paese. Sanno anche che c’è una disputa, che è di tipo giuridico e costituzionale, una disputa seria e difficile. Ma tanti cittadini non offrono il loro nome e la loro presenza per essere giuria nella disputa. La offrono per fare da scudo ai giudici. Non contro le istituzioni, ma per le istituzioni, perché sarebbe intollerabile la ferita se venissero a mancare forza e sostegno ai giudici. Quello che stanno facendo, in mezzo a controversie drammatiche (perché sono controversie che sembrano sconvolgere le simmetrie e le contrapposizioni a cui siamo abituati e sulle quali ci eravamo assestati in anni di duri confronti) quello che stanno facendo i giudici è cercare un filo in un groviglio che si è progressivamente complicato nei decenni e in cui non sei ancora sicuro né del comesbrogliare la matassa né delle rivelazioni che al momento nasconde. È una lotta per alcune verità che continuano a sfuggire e a nascondersi, e in cui non hai la minima garanzia sull’esito, su un presunto “lieto fine”. Ora l’unica preoccupazione che ha coinvolto e messo in movimento coloro che stanno dirigendosi, come una massa automobilitata di cittadini, verso i giudici, è di fare in modo che essi non vengano fermati. L’evento, infatti, non è visto come un dibattito, con opinioni legittimamente diverse, intorno a quesiti di procedura giuridica. L’evento è la continuazione o l’interruzione di ciò che i giudici stanno tentando di fare, sia pure con decenni di ritardo. Infatti, la salvezza della Repubblica dipende da un lato dal recupero della sua forza economica, ma l’altra parte è legata alla verità di alcuni eventi, da cui dipende un’immagine certa della nostra storia. È il posto di blocco del futuro di tutto un Paese. Ora il paradosso sta in questo. Sempre più cittadini accorrono e vogliono essere contati accanto e a sostegno dei giudici. Intendono dire e garantire, e non hanno nulla a che fare con coloro che sia pure con tante ragioni (e tante guide di un tipo e dell’altro) pensano a una piazza pulita, dopo la quale il modo ricomincia da capo. In altre parole, sempre altri cittadini, che pure si rendono conto della infinita imperfezione del sistema, vogliono scortarlo fino a un punto di certezza e di verità che tende a salvare, se non i politici, certo le istituzioni. Il paradosso è questo. Le decine di migliaia di firme che qui si accumulano non sono contro, sono per, non puntano alla distruzione di un pezzo di Repubblica, ma alla sua difesa. Resta il problema della solitudine. C’è passione, c’è partecipazione, c’è voglia di prendere parte, ed essere presenti e attivi in un momento carico di rischi immensi. Ma dove vanno, in un mondo senza partiti e senza frasi politiche che possano capire, a cui possano rispondere , dove vanno mentre sono di fronte a un grande equivoco, che rischia di farli apparire nemici di ciò che intendono difendere? Non so rispondere alla domanda.
Ogni tanto diciamo che un certo momento “è il più difficile nella storia della Repubblica”. Qui la difficoltà è resa più grave da fatti procedurali e formali che hanno fatto apparire come contrapposte e ostili due parti che erano state la stessa, e con lo stesso proposito di salvezza comune. Chi arriva, adesso, con il suo nome, la sua firma, con la sua testimonianza, accanto ai giudici, questo intende fare esattamente: continuare quella difesa. D’accordo, non c’è una rete in caso di caduta, e non c’è un partito a contabilizzare partecipazione e presenze. Non c’è neppure un contenitore per tutta questa gente che non vuole far finta di non sapere e di non vedere il pericolo. Come dire che riuscirà impossibile valutarla e pesarla, per quando si dovrà andare alle urne. È vero. Ma intanto la buona politica, se c’è ancora e se è in grado di battere un colpo, farebbe meglio a osservare e ascoltare con attenzione.
Il Fatto Quotidiano, 12 agosto 2012