Ilfattoquotidiano.it aveva già incontrato Gavin Poynter, professore emerito di scienze sociali alla University of East London e capo del centro studi LERI (London East Research Institute), in occasione della possibile candidatura di Roma ad ospitare le Olimpiadi del 2020. Allora ci aveva illustrato i suoi studi sull’eredità olimpica, giungendo a dimostrare come nella cosiddetta quinta fase delle Olimpiadi moderne – quando i Giochi diventano “un vero e proprio business che, coinvolgendo in egual misura fondi pubblici e privati, comincia a generare corruzione” – da Barcellona ’92 in poi le Olimpiadi sono state un salasso economico e sociale per tutti i paesi che le hanno ospitate. Il nuovo incontro, per discutere delle Olimpiadi di Londra 2012 e le ripercussioni sul tessuto sociale della capitale britannica, non può che ripartire da lì.

“E’ stata un’ottima decisione quella di non presentare la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020 – spiega al fattoquotidiano.it nella suggestiva cornice della British Library, a due passi dalle stazioni di Euston e King’s Cross -. In questo periodo di crisi sarebbe servito un considerevole investimento pubblico per le infrastrutture, dato che storicamente i privati intervengono solo a cose fatte. Questo avrebbe oltretutto richiesto due tipi d’intervento. Una completa armonizzazione tra governo e amministrazioni regionali e cittadine, di per sé complicata. E la capacità di operare una “temporanea sospensione della democrazia” per fare in modo che tutto potesse procedere rapidamente e senza intoppi, con tutti i rischi che questo avrebbe provocato. Senza contare le difficoltà dell’eredità olimpica. Alla fine, è stato veramente meglio così”.

Perché allora tutta questa corsa delle grandi capitali a voler organizzare i giochi? “Lasciando perdere la corruzione, e i profitti che derivano ai privati a spese della collettività, l’interesse a ospitare grandi eventi è necessario per una élite politica che altrimenti fatica a trovare consenso e legittimazione popolare. I partiti leggeri, senza contatto con il territorio, cercano legittimazione attraverso lo ‘spettacolo’. E il consenso generato attraverso questi grandi eventi permette a questi partiti, altrimenti delegittimati, di sopravvivere e riprodursi”. A Londra questo tipo di interventi sul tessuto urbano e cittadino non sono una novità. “Sicuramente l’idea trova le sue radici nel thatcherismo e nella Cool Britannia (il sogno, o incubo, del New Labour di Blair negli anni ’90 ndr.). Anche allora si cercò di trasportare la città nel postindustriale e nel finanziario attraverso progetti di rigenerazione urbana, legati al concetto di attrazione e spettacolo. Assurdo farlo una terza volta, dopo gli evidenti fallimenti dei primi due”.

Perché si può parlare di fallimento. “Dagli anni ottanta si è creata una nuova dinamica urbana, basata su una polarizzazione sempre più estrema del mercato del lavoro tra chi è ultra retribuito e che fa lavori sempre più a basso costo. Una rottura, senza possibilità di ritorno, che ha influito drammaticamente sul tessuto sociale cittadino. Città finanziaria e industria creativa hanno mantenuto in piedi la città nelle ultime tre decadi. Quanto possa durare, visto il crollo di questo sistema, è un altro paio di maniche. Di sicuro fino ad ora questo relativo successo economico ha influito molto negativamente sulle classe sociali svantaggiate e sui quartieri poveri, non fosse altro che per il vertiginoso aumento del costo della vita e per i continui tagli al settore pubblico a favore del privato”.

I quartieri di Londra dove si sono svolte le Olimpiadi, anche a causa di quello che lei ha spiegato, sono oggi tra le zone più povere depresse dell’intera Gran Bretagna. Fatto un danno, non potrebbe invece essere un vantaggio ospitare i Giochi. “E’ stato provato che costruire musei, parchi divertimenti e centri commerciali al posto di scuole, case e ospedali, non ha mai portato beneficio ad alcuna città. Anzi, in questo modo si contribuisce ad aumentare il divario tra la vita reale delle persone disagiate e le loro aspirazioni al consumo. I ‘riots’ della scorsa estate, dove i ragazzi delle casi popolari hanno messo a ferro e fuoco la città di Londra per diverse settimane per ottenere scarpe e telefonini invece che per reclamare i loro diritti, ne sono un esempio”.

Ma almeno queste cosiddette ‘attrazioni’ dovrebbero portare nuovi posti di lavoro. “Purtroppo non è così. C’è anche l’obbligo ad assumere almeno un quarto di manodopera locale, ma alla fine si tratta sempre di quello stesso tipo di lavoro non specializzato e senza prospettive che ha creato povertà e disagi in quei quartieri. Vediamo l’esempio di Westfield, il più grande centro commerciale d’Europa costruito in tutta fretta a due passi dal Parco Olimpico. Il suo gemello nell’ovest (aperto nel 2005 a Shepherd’s Bush, poco sopra Kensingtonndr.) si regge sul turismo internazionale che frequenta a prescindere quelle aree, e ho il sospetto che nell’est non arriverà mai lo stesso tipo di turismo. Alla fine rimarrà un’imponente colata di cemento dove i ragazzini locali, ancora disoccupati dato il carattere temporaneo dei lavori olimpici, andrà a sognare ma non a comprare, alimentando ancor di più il divario tra aspirazioni al consumo e vita reale. E’ questo il paradigma dell’eredità olimpica”.

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