Molti atleti sono stati al centro delle polemiche sul sito di microblogging. Filippo Magnini vuole lasciare la piattaforma perché "c'è troppa gente cattiva", la triplista greca Voula Papachristou esclusa per un tweet razzista e la judoka Wojdan Shaherkani vittima di minacce di morte arrivate dal suo stesso paese
Forse ha ragione il nuotatore italiano Filippo Magnini che, in seguito a una polemica tutta olimpica, ha postato: “Basta, me ne vado da Twitter, c’è troppa gente cattiva”. Forse no, difficile stabilirlo con sicurezza. Queste sono state sicuramente le Olimpiadi più condivise della storia dell’umanità. Dall’era di Atene 2004, in cui gli smartphone si contavano sulle dita di una mano, all’era di Londra 2012, con l’esplosione di Twitter, forte dei suoi 500 milioni di utenti globali (erano 4 milioni dutante Pechino 2008), e di tutti gli altri social network. Fra scandali e celebrazioni, tutto il mondo si è ritrovato sullo schermo di un telefonino o di un computer, scrivendo, spesso in soli 140 caratteri, tutto quello che gli passava per la testa.
Così, se il tuffatore britannico Tom Daley ha aggiunto 800mila follower alla sua lista in sole due settimane, se su Usain Bolt venivano scritti 3mila tweet al secondo, se le atlete saudite hanno ricevuto minacce di morte solo per essere donne, tutto questo è stato possibile grazie alle tecnologie ormai alla portata di tutti. Compresi gli atleti cubani, che, appena giunti a Londra, hanno sfidato le regole imposte a casa dal governo castrista occupando per ore e ore le sale computer del villaggio olimpico. Gli scandali non sono mancati, già da prima che cominciassero le gare. La triplista greca Voula Papachristou non è riuscita nemmeno a partire per il Regno Unito. Il tutto per un tweet sull’attualità ellenica giudicato razzista dalla sua federazione in patria: “Con così tanti africani in Grecia le zanzare del Nilo occidentale potranno almeno mangiare cibo di casa”. A nulla sono poi serviti due post di scuse sentite. Così come non sono servite le scuse di Michel Morganella, calciatore della nazionale svizzera e del Palermo che, dopo una sconfitta contro la Corea del Sud, aveva apostrofato quei coreani vincitori come “ritardati mentali. Andate a farvi bruciare”. Poi, ancora, il caso del ragazzo inglese di 17 anni arrestato – nel Regno Unito è un reato penale – per “aggressione” su Twitter contro Daley, arrivato solo quarto nei tuffi. “Oggi hai deluso tuo padre. Immagino che tu sappia di cosa sto parlando”. Peccato che il padre del tuffatore sia morto un anno fa per un tumore cerebrale e peccato che lo stesso Daley abbia sempre detto che “la figura di mio padre mi ha ispirato e continua a guidarmi”. Il ragazzo ora affronterà un processo, ma le associazioni per la difesa dei diritti civili sono sulle barricate.
Ma di un tweet si può anche essere vittima, come ha scoperto Guy Adams, corrispondente americano dell’inglesissimo The Independent. Il quale si è visto sospendere il proprio account per aver diffuso al mondo l’indirizzo di posta elettronica del presidente di NBC Olympics, Gary Zenkel. Nelle ore prima, Adams proprio su Twitter aveva pesantemente criticato le politiche televisive della NBC, accusata soprattutto di non aver diffuso la cerimonia di apertura in streaming per non perdere profitti pubblicitari. Al giornalista evidentemente era sfuggito un particolare: negli Stati Uniti, partner di Twitter per la comunicazione ufficiale è proprio la NBC. Che, così, sentendosi ferita, ha pensato bene di spingere per una sospensione dell’account. La scusa ufficiale: su Twitter non è possibile violare la privacy e pubblicare indirizzi e-mail di altre persone senza autorizzazione. Ma l’indirizzo di Zenkel era comunque quello aziendale. E quindi pubblico.
E vittima è stata anche l’atleta donna saudita, la judoka Wojdan Shaherkani. Vittima di insulti, critiche e persino minacce di morte arrivate dal suo stesso paese. La colpa? Aver gareggiato alle Olimpiadi ed essere contemporaneamente di sesso femminile. Oltre che aver perso dopo soli 82 secondi per mano della concorrente portoricana. L’onore in Arabia Saudita è una cosa importante: e così il padre della judoka ha già denunciato diverse persone, si narra persino di arresti già avvenuti. Poi ci sono le vittime di se stesse: come quei funzionari olimpici che hanno cenato in un famoso ristorante della capitale britannica, portando a casa un conto da 56mila sterline. Peccato che lo scontrino sia stato fotografato da una fonte anonima e sia finito, ancora una volta su Twitter. Polemiche su polemiche, ma la notizia è finita nel calderone delle tante news olimpiche. Come quella di un altro tweet con una foto raffigurante il tennista britannico Andy Murray mentre regala le sue due medaglie ai suoi amati cagnetti. Come a dire, le Olimpiadi sono roba da cani. I social network pure, talvolta.