Ecco che ne arriva un’altra. La grandinata di nuove tasse e addizionali sembra davvero senza fine. Questa volta nel mirino ci sono i contribuenti delle regioni in deficit sanitario che già oggi pagano un obolo aggiuntivo per far quadrare i conti delle loro amministrazioni, ma che dal 2013 potrebbero essere chiamati ad uno sforzo ancora maggiore. Oggi la tassazione Irpef è strutturata in questo modo: 1,23% di aliquota base (alzata dal precedente 0,9% con il decreto “Salva-Italia”) a cui si somma un’aliquota regionale che può arrivare fino allo 0,5 per cento. Nelle regioni che devono ripianare buchi della spesa sanitaria questa aliquota potrà ora salire fino all’1,1% portando il prelievo totale al 2,33% del reddito .
Ma non finisce qui perché già oggi quando i piani di rientro dal deficit non sono sufficienti scattano aumenti automatici delle aliquote, che con il nuovo regime, potranno così raggiungere il 2,63 per cento. Salvo miracoli nel 2013 un aumento dell’Irpef più o meno consistente interesserà otto regioni: Piemonte, Lazio, Abruzzo, Sicilia, Campania, Calabria, Molise e la Puglia, (il cui bilancio è stato impugnato due giorni fa dal governo). Potenzialmente stiamo parlando di 18 milioni di contribuenti su un totale nazionale di 41 milioni. In realtà la misura non dovrebbe interessare i redditi al di sotto dei 15mila euro lordi annui risparmiando così quasi la metà dei cittadini. E’ necessario però usare un prudente condizionale perché il governo non ha ancora varato il regolamento, atteso da oltre un anno, per rendere operativa l’esenzione a favore dei meno abbienti.
Vediamo alcune cifre e proviamo a quantificare quello che potrebbe essere l’aggravio di spesa per i cittadini. Già oggi le otto regioni interessate applicano aliquote superiori a quelle degli altri enti. Il prelievo è all’1,73% in Abruzzo, Lazio, Sicilia, Piemonte e Puglia, con le ultime due che applicano aliquote inferiori ai redditi più bassi. In Campania, Calabria e Molise, dove sono in vigore anche gli incrementi automatici anti-deficit, si sale invece al 2,03 per cento.
Nelle prime cinque regioni se il prelievo salisse fino al 2,33% un contribuente con reddito di 20mila euro annui si troverebbe a dover pagare 120 euro in più (da 346 a 466 euro). Con 40mila euro di reddito dovrebbe invece versare 932 euro contro i 692 attuali (+240). Il prelievo per chi guadagna 60mila euro l’anno passerebbe infine da 1.038 a 1398 euro (+360). In Campania, Calabria e Molise è possibile che l’anno prossimo il prelievo possa salire fino al 2,63 per cento. In tal caso con un reddito di 20mila euro, il versamento passerebbe da 406 a 526 euro (+ 120), con 40mila euro da 812 a 1052 (+ 240) e con 60mila da 1.218 a 1.578 euro (+ 360).
Quella consegnata alla regioni in deficit sanitario è una facoltà e non un obbligo, ma si accettano scommesse su come andrà a finire. La misura era già prevista nei decreti attuativi del federalismo fiscale ma il governo, con l’approvazione della spending review, ha deciso di anticiparne di un anno l’introduzione. Il giochetto è infatti sempre lo stesso, si tagliano i trasferimenti da parte dello Stato centrale e contemporaneamente si dà la possibilità agli enti locali di alzare le tasse di loro pertinenza.
Negli ultimi tre anni le risorse per Regioni, Province e Comuni hanno subito una decurtazione di circa 20 miliardi di euro su una spesa complessiva di 215 miliardi. Il meccanismo potrebbe avere un senso se contemporaneamente scendesse la tassazione dello Stato centrale cosa che per ora non è minimamente avvenuta. E’ corretto responsabilizzare gli amministratori locali che se non gestiscono oculatamente le finanze regionali – di cui la sanità è di gran lunga la principale voce di spesa – devono poi batter cassa direttamente presso i loro elettori. Come dimostrano le marcate differenze tra una regione e l’altra esistono senza dubbio sprechi e margini di razionalizzazione della spesa, ma è anche vero che più si taglia più è difficile far quadrare i bilanci. In ogni caso a pagare il conto sono sempre e comunque i cittadini. Tanto che alla fine, come ha calcolato la Cgia di Mestre, tra nuove addizionali comunali e regionali gli italiano verseranno complessivamente 3,5 miliardi di euro in più all’anno.