La parola ambientalista, apparsa da pochi decenni nel vocabolario, ha subito disastrose distorsioni di significato e di senso. Così oggi qualcuno parla di ambientalismo massimalista, di lobby ambientaliste, di ambientalisti affamatori del popolo, di ambientalismo terrorista e perfino di ambientalismo che fa stragi. Mai di ambientalismo come comune esercizio di civiltà e coscienza. Addirittura, capovolgendo la realtà, il presidente della Puglia ha evocato, a proposito dell’Ilva, un certo “ambientalismo isterico” corresponsabile della perdita del lavoro a Taranto. Ripete il presidente – e il Governo con lui – l’ovvietà che bisogna abolire «la scelta tra lavoro e salute, perché in quel dilemma c’è la sconfitta della civiltà». Anche un bimbo è d’accordo e sa che il lavoro non deve avvelenare e uccidere, che l’acciaio serve e che bisogna produrlo senza ammazzare chi lo produce. Ma non è andata così.
Nella sinistra italiana, mentre intere regioni cadevano in mano agli ayatollah del cemento e ai pasdaran impuniti di uno sviluppo malato, mentre il Paese era costellato di fabbriche tossiche e frana sotto i mattoni, un pensiero falso operaista propagandava l’idea che bisogna mediare tra ambiente, salute e lavoro. E oggi definisce estremista chi solleva il problema dell’avvelenamento di intere comunità per “dare” lavoro. Lo marchia addirittura come complice di una condizione che la stessa sinistra ha concorso a produrre, disinteressata per tradizione alle irritanti questioni ambientali buone per signorine di buona famiglia consacrate all’ecologia come al ricamo. Così al termine ambientalista è stato malignamente infuso, sino dalla sua nascita, il significato di estremismo immaturo. Mentre il vero fanatismo è nell’estremismo industriale che ha avvelenato migliaia di persone, nella frenesia del cemento che ha distrutto intere regioni. Distrutte materialmente, culturalmente e moralmente. Sono estremisti in Germania dove puntano a consumo di suolo zero? Estremisti in Francia dove il permesso di costruire è una faccenda seria mentre da noi è spesso un patto a due, tra chi amministra e chi imprende? Sono mediatori in Cina, ricoperti da una nube di veleno? Mediatori in Russia dove le norme ambientali sono roba per deboli di stomaco? Moderati all’Ilva, moderati gli industriali e i governi i quali per decenni hanno permesso che in cambio di un po’ di lavoro si crepasse al grido di “meglio il fumo della fame”?
Il presidente della Puglia e il Governo che invia ministri contro i giudici dicono che loro stanno nel giusto mezzo. Eppure sanno che la mediazione è possibile solo tra forze comparabili. E dimenticano che dalla “mediazione” di Taranto è stata spietatamente cancellata la parte debole. Sanno che è stato un pezzo della società civile e la magistratura che hanno sostituito la politica connivente e muta. La mediazione, quella buona, non è appannaggio dei giudici. Oppure sono isterici anche i magistrati che, non avendo funzioni di negoziatore, applicano le norme? O i morti hanno esagerato a morire, i malati ad ammalarsi e sono malati isterici?
Se la E di ecologia diventa una sottile vernice rossa o verde, le pagine oscure sono destinate a moltiplicarsi.