Nell’agosto 2007 numerosi medici (tra cui il compianto Lorenzo Tomatis, scienziato di fama mondiale), concludevano un articolo sui rischi connessi all’incenerimento dei rifiuti con questa frase: ”Non vorremmo si lasciasse di fatto alla sola Magistratura il compito di tutelare il diritto alla Salute”. Ci sembra che queste parole siano quanto mai attuali e quanto sta accadendo a Taranto ne è una dolorosa conferma. Appare infatti chiaro dalle dichiarazioni che si susseguono sui media che la preoccupazione è tutta volta al fermo dell’attività piuttosto che ai morti, ai malati, ai malformati che si registrano per le emissioni dell’Ilva. Nel 2010 Ilva ha emesso dai propri camini oltre 4 mila tonnellate di polveri, 11 mila tonnellate di diossido di azoto e 11 mila e 300 tonnellate di anidride solforosa, 7 tonnellate di acido cloridrico; 1 tonnellata e 300 chili di benzene; 338,5 chili di IPA; 52,5 grammi di benzo(a)pirene; 14,9 grammi di diossine (tanto per capirci la quantità annua massima tollerabile per 290 milioni di adulti del peso di 70 kg!). A queste si aggiungono poi le emissioni “non convogliate”, ovvero quelle che non escono direttamente dai camini e che la stessa Ilva stima in ulteriori 2148 tonnellate di polveri; 8800 chili di IPA; 15 tonnellate e 400 chili di benzene; 130 tonnellate di acido solfidrico; 64 tonnellate di anidride solforosa e 467 tonnellate e 700 chili di Composti Organici Volatili… Una enormità di veleni che si aggiungono a quelli emessi nei decenni precedenti e che comportano danni gravissimi alla salute umana.
Le polveri hanno soprattutto effetti a breve termine, con aumento di patologie cardiocircolatorie (ictus, infarto) e respiratorie; diossido di azoto e anidride solforosa hanno essenzialmente un effetto irritante (occhi, naso) e sulle vie respiratorie specie dei bambini; il benzene è un cancerogeno certo per l’uomo, correlato in particolare all’insorgenza di leucemie e linfomi, per non parlare poi del benzo(a)pirene considerato fra gli IPA il più pericoloso per la salute umana per la sua azione genotossica e cancerogena, specie per esposizione durante le prime fasi della vita. Infine le diossine, la cui capostipite (diossina di Seveso) è un cancerogeno certo per l’uomo – al pari di uno dei furani – ma che agiscono anche come “interferenti endocrini”, ovvero alterano funzioni delicatissime quali quelle del sistema immunitario, ormonale, riproduttivo (immunodepressione, ipotiroidismo, infertilità, endometriosi, esito sfavorevole della gravidanza, parti prematuri ecc.), ma comportano anche danni metabolici, diabete, malformazioni, disturbi del sistema nervoso centrale e neuropsichici.
Tutti questi veleni che hanno di fatto ormai “inzuppato” il territorio da decenni, hanno anche contaminato la catena alimentare: 1300 capi di bestiame allevati a ridosso dell’Ilva sono stati abbattuti, l’allevamento dei mitili compromesso e il latte materno – come risulta da indagini spontaneamente eseguite da mamme tarantine, è contaminato oltre il doppio di quanto si registra nel nostro paese.
Vivere (si fa per dire…), crescere, respirare, giocare in mezzo a queste emissioni significa ammalarsi, soffrire, morire più di quanto dovrebbe “normalmente” accadere. Per le emissioni industriali si stimano infatti in più ogni anno: 30 morti, 18 casi di cancro, 19 eventi coronarici con ricorso al ricovero, 74 ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie (in gran parte tra i bambini), 17 casi di tumore maligno tra i bambini con diagnosi da ricovero ospedaliero…
Sembrano dati da bollettino di guerra e di questo vorremmo sentir parlare nei vari Tg, da ministri e assessori di turno, ma su questo vorremmo che anche sindacati e lavoratori riflettessero: si lavora per mantenere la propria famiglia e vedere crescere i propri figli, non per scavare loro la fossa.
Grazie Magistrati e sappiate che proprio la vicenda di Taranto ha aperto gli occhi a tanti italiani e di certo non sarete più soli nella difesa della salute di tutti!