Non c’è soltanto l’Ilva, dunque. Mentre la politica spesso taceva o si piegava davanti alla falsa alternativa salute-lavoro (che in tanti Paesi è stata superata, non in Italia), è intervenuta infine la magistratura, magari chiamata in causa da comitati di cittadini o associazioni. Il solo Wwf in un anno ha presentato 50 ricorsi al Tar e si è costituito parte civile in 63 processi per inquinamento ambientale. Parliamo, appunto, di centrali a carbone, poli petrolchimici, raffinerie, discariche, industrie chimiche e siti militari.
Già, le centrali a carbone. C’è chi oggi parla di “carbone pulito”, ma secondo i dati scientifici (contenuti anche nei dossier Wwf consultabili online), “La migliore tecnologia a carbone presenta livelli di anidride solforosa superiori 140 volte rispetto a quelli emessi da un ciclo combinato a gas”. Eppure in Italia sono attive 13 centrali a carbone e mentre per alcune si prevede la riconversione, spuntano nuovi progetti (Saline Joniche in Calabria). Il record spetta alla Liguria, con ben tre impianti: a Vado Ligure (“Il Fatto” se n’è occupato nei giorni scorsi), poi, incredibilmente, sotto la Lanterna di Genova, cioè a due passi da quartieri dove vivono centinaia di migliaia di persone, quindi a La Spezia. Poi il colosso di Civitavecchia, per cui il sindaco Pietro Tidei ha promesso nei prossimi giorni novità, quindi Fiume Santo e Sulcis in Sardegna. E ancora: Brindisi Sud e Brindisi Nord in Puglia, Bastardo in Umbria, Marghera e Fusina in Veneto, Monfalcone in Friuli e Brescia in Lombardia.
Tra i grandi malati da inquinamento ci sono le coste. Ai danni alla salute si aggiungono quelli all’ambiente e al turismo, la prima industria nazionale con il 15% del Pil. Come dire: meno denaro e lavoro. Ricorda sempre il Wwf che su 57 siti nazionali ben 28 sono di fronte al mare: “Lungo le coste soprattutto negli anni ’50 e ’60, si sono sviluppati petrolchimici, acciaierie e industrie manifatturiere, anche in prossimità di aree di pregio. Molte oggi sono dismesse, altre perdurano e pur cercando di trovare un sempre migliore punto di equilibrio tra le esigenze di produzione industriali e quelle di tutela… pagano il prezzo di localizzazioni infelici fatte senza nessuna valutazione o analisi ambientale”.
Un elenco? Impossibile, sono troppe le ferite. Si può tentare qualche esempio, pur sapendo di fare torto a molti altri. I rigassificatori dovevano essere 4 o 5 secondo Berlusconi, ma rischiano di diventare 11: Augusta, Brindisi, Gioia Tauro, Livorno offshore, Porto Empedocle, Porto Recanati, Portovesme , Rosignano, Taranto, Trieste offshore, Trieste Zaule.
Per non dire dei petrolchimici. Si parte dalla Sicilia (Gela e Priolo), poi Manfredonia, Brindisi, Monfalcone, Falconara. Località ormai note anche per le battaglie dei loro abitanti. Ma anche sconosciute, come Sannazzaro de’ Burgondi, in provincia di Pavia.
Infine la chimica, un nome per tutti: Rosignano Solvay, con quelle spiagge bianche che magari fanno pensare ai Caraibi e invece sono un regalo dell’industria affacciata sul litorale toscano già martoriato dai porticcioli (vedi la vicina Cecina). E le bonifiche? “In Italia – ricorda Leoni del Wwf – quelle davvero avviate sono una manciata”. E di questo dobbiamo ringraziare le leggi: “Una norma del 2006 consente alle industrie di non bonificare. Allo Stato resta l’onere della prova sul legame produzione-inquinamento. Una probatio diabolica, quasi impossibile, che dà vita a interminabili contenziosi”. Anche se, sostiene Stefano Lenzi del Wwf, “le finanziarie prevedono lo stesso risorse per la bonifica delle aree private”. Valerio Gennaro conclude: “E pensare che bonifica e monitoraggio potrebbero dare tanto lavoro”. Già, dieci, cento Ilva. E gli effetti li vedranno anche le prossime generazioni.
Il fatto Quotidiano, 14 agosto 2012