Petrolio, trivelle, cambiamenti climatici, ma anche pesca intensiva con metodi insostenibili. Secondo Rebecca Borraccini, addetta stampa di Greenpeace, l’Artico ha bisogno di aiuto. Impegnata nella campagna SaveTheArctic, Rebecca è l’unica italiana a bordo della nave rompighiaccio Arctic Sunrise, in viaggio intorno al Polo Nord. Tanti gli obiettivi, a partire dalla raccolta di almeno due milioni di firme. L’attivista, che sta descrivendo la sua avventura sulle pagine de Ilfattoquotidiano.it. non nasconde la sua passione, né il forte coinvolgimento personale in questa iniziativa. “C’è qualcuno che vede nel disastro un’opportunità”, ci racconta: un motivo in più “per non restare fermi a guardare”.

Rebecca a bordo della rompighiaggio di Greenpeace (foto Denis Sinyakov)

Rebecca, qual è stato il percorso che ti ha portato sulla Arctic Sunrise?
Ho lavorato per la prima volta con Greenpeace nel 2007, mentre ancora stavo studiando all’Università. Poi, alla fine del mio secondo anno di Master, ho chiesto di fare il tirocinio nell’ufficio stampa di Greenpeace Italia e da allora non me ne sono più andata. La possibilità di salire sull’Arctic Sunrise è venuta fuori all’ultimo momento, giusto in tempo per procurarmi tutti i documenti e il visto per partire. Ho risposto istintivamente, senza pensarci, cancellando in un secondo le vacanze programmate da un mese.

Com’è la vita, nel bel mezzo del mare Artico?
Sulla barca non esiste stress, l’atmosfera che si respira è molto diversa da quella a terra. Non so se sia una caratteristica di tutte le imbarcazioni o solo delle navi di Greenpeace, fatto sta che in mezzo al mare a volte non puoi far altro che prendere le cose così come vengono. I membri dell’equipaggio dell’Arctic Sunrise non sono ossessionati da orari e scadenze, semplicemente perché hanno accettato il fatto che non tutto dipende dalla loro volontà. Il mare è forse uno dei pochi posti dove la natura è ancora molto più grande e forte dell’uomo, è inutile tentare di avere tutto sotto controllo. Per giorni interi non abbiamo avuto connessione Internet, siamo stati completamente isolati: se la stessa cosa fosse successa in ufficio ci sarebbe stato un attacco di isteria collettiva, qui invece non c’è altra soluzione che prenderla con filosofia.

Non deve essere facile però svegliarsi e non vedere nemmeno un lembo di terra all’orizzonte…
Svegliarsi e vedere il mare tutt’intorno è una sensazione stupenda, ogni giorno è di un colore diverso e il sapore dell’aria è buonissimo. Però a volte l’idea di essere così lontano da tutto risulta strana, il mio cervello non sa bene come elaborarla. Per quel che ne so il mondo potrebbe essere scomparso nel frattempo. Mi è capitato forse un paio di volte di chiedermi: “E adesso?”. Oppure: “Se non volessi più stare qui per qualunque motivo?”

Stanca di più la vita di mare o avere notti senza buio?
Durante la notte artica sembra che il sole stia per scomparire in ogni momento e poi non succede mai. Il primo giorno sono rimasta per qualche ora in uno strano stato di attesa, poi mi sono abituata. Forse all’inizio ero anche un po’ nervosa rispetto al solito. Ora, un po’ per il fatto di lavorare tutto il giorno, un po’ per lo stress fisico della vita in mare, la sera crollo e dormo profondamente. Generalmente quando esco dall’ufficio dopo una giornata di lavoro, a meno che non ci siano questioni urgenti in sospeso, stacco e faccio altro, qui invece è impossibile staccare. Il problema è che si crea una specie di gap tra quello che pensi di poter fare e quello che il tuo fisico può realmente sopportare: in mare ci si stanca anche senza far niente e non si può pretendere di mantenere gli stessi ritmi della vita a terra.

La cosa più bella e quella più brutta di questa tua esperienza…
Subito dopo la rabbia che provo a pensare di quanta distruzione siamo capaci, la cosa più brutta è il mal di mare. Il tuo corpo deve abituarsi a un ambiente che non conosce e all’inizio reagisce rivoltandosi. Con il mal di mare è difficilissimo concentrarsi e fare qualunque cosa. Oltre a questo bisogna fare i conti con la disidratazione, la sete costante e la bocca sempre impastata. Quando ho dovuto parlare davanti alla video camera ho avuto grossi problemi a muovere la bocca e a non mangiarmi le parole. È come se ogni giorno mi svegliassi con i postumi di una sbronza senza aver bevuto nemmeno una goccia di alcol. La cosa più bella è essere qui, vedere con i miei occhi il mare Artico e le piattaforme petrolifere. Lavorando a Greenpeace, negli ultimi due anni ho avuto più di un’occasione per approfondire questi argomenti, ma da una scrivania in centro a Roma rimangono sempre troppo lontani, troppo teorici. Vedere le cose con i propri occhi dà una consapevolezza diversa e anche una maggiore credibilità.

Come si svolge la tua giornata-tipo?
Sveglia alle 7:30 (ogni giorno qualcuno dell’equipaggio fa il giro delle cabine per svegliarci), colazione, pulizie dalle 8.00 alle 8:30, doccia (usando meno acqua possibile), pranzo a mezzogiorno e cena alle 6. Tutto il resto del tempo lavoro, parlo con le persone, aiuto il cuoco e mi godo il mare.

Siete più uomini o più donne, sulla nave?
Quasi metà e metà, gli uomini sono un po’ di più, ma è un caso perché i membri dell’equipaggio non sono mai gli stessi, c’è un turn over continuo.

Vedi differenze, o tensioni?
Tra l’equipaggio della nave c’è una precisa gerarchia, ma io sono un “ospite”. Ci sono anche delle regole, ma l’aria che si respira è totalmente rilassata.

Cosa ti aspetti da un’esperienza di questo tipo? Pensi possa contribuire maggiormente a cambiare il mondo o a cambiare te stessa?
Penso che non sarò io a cambiare il mondo, ma penso anche che prima di me qualcuno ha iniziato questa campagna e qualcuno dopo di me la porterà avanti, ed è così che si ottengono i cambiamenti, lentamente ma con perseveranza, e con una forte motivazione. Sicuramente questa esperienza mi cambierà, credo solo in meglio. Sono sincera, non avevo aspettative di nessun tipo, magari speravo di vedere una balena o un orso polare… Sarà per la prossima volta.

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