In Borsa i piccoli investitori – meglio noti fra gli addetti ai lavori come il “parco buoi” – non ricevono quasi mai un trattamento rispettoso, ma quando si tratta di azioni di società di calcio la fregatura è molto spesso assicurata. In Italia ne sanno qualcosa i tifosi di Roma, Lazio e Juventus che hanno visto polverizzarsi i propri risparmi e adesso tocca a quelli del Manchester United che, seppur gestita meglio dei club italiani, rischia di fare la stessa fine (borsisticamente parlando).
Il debutto della squadra inglese è andato in scena venerdì 10 a Wall Street e a distanza di una settimana sembra ben indirizzato verso il flop: le azioni hanno chiuso la prima giornata di contrattazione sui valori di collocamento (14 dollari) e il bilancio dei primi sette giorni di Borsa è negativo dell’1,64 per cento a 13,77 dollari. Questo nonostante il sostegno fornito dalle banche che ne hanno curato il debutto in Borsa (JP Morgan, Jefferies, Merril Lynch, Rbs, Deursche Bank e Crédite Suisse) e che inizialmente avevano spinto su un prezzo addirittura più alto. Facebook, un altro marchio conosciutissimo approdato di recente a Wall Street, era almeno riuscito a chiudere la prima seduta in rialzo grazie alla suspance creata dalle banche sul titolo inizialmente introvabile. Salvo poi, passata la sbornia, perdere in circa tre mesi più del 40% del suo valore. Le prossime settimane per gli azionisti del Manchester United si preannunciano dunque tutt’altro che facili.
D’altra parte gli investitori professionisti avevano già le idee molto chiare prima del debutto. Sverrir Sverrisson, un analista di Saxo Bank, aveva scritto in un report: “Io non comprerò mai queste azioni, ma devo rivelare che sono un fan dell’Arsenal. Tuttavia, questo non cambia il fatto che il Manchester United sia un pessimo investimento”! Ancora più pesante è stato il commento del suo collega Micheal Jarman, chief equity strategist di Saxo Bank: “Anche nel prospetto di collocamento si dichiara che il Manchester United potrebbe essere in difficoltà nel competere sul mercato dei giocatori con il Real Madrid o il Chelsea. Un business costruito sul successo di questo mercato, è difficilmente un business senza di esso. Sono io che sbaglio o sono i Glazer (la famiglia americana proprietaria della squadra, ndr) che ci prendono per stupidi, intascando metà del denaro raccolto? Questo non è giusto per il club e per i suoi fan. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca”.
Nonostante lo scetticismo di molti, la squadra allenata da Sir Alexander Ferguson ha raccolto presso i risparmiatori 233,2 milioni di dollari, cosa che non le era riuscita nei precedenti tentativi di collocamento (falliti) sulle borse di Singapore e Hong Kong. A questi prezzi la società inglese vale 2,3 miliardi di dollari, quasi un terzo in meno delle iniziali aspettative della proprietà, ma circa il doppio dei 790 milioni di sterline (1,24 miliardi di dollari al cambio attuale) pagati dall’attuale azionista di riferimento, la famiglia americana Glazer, che aveva tolto il club dalla borsa di Londra nel 2005 dopo 14 anni di quotazione. Il Manchester United aveva urgente necessità di raccogliere capitali freschi, perché rischiava di rimanere schiacciata sotto l’enorme debito accumulato negli anni scorsi (685 milioni di dollari).
In Italia esattamente tre anni fa, a buoi ormai scappati dalla stalla, perfino l’ex presidente della Consob, Lamberto Cardia aveva sentenziato: “Ritengo che la quotazione delle società calcistiche sia stata e resti un errore: la presenza in Borsa dei club calcistici non riesce ad assicurare il buon funzionamento del mercato in un settore strutturalmente interessato dalla diffusione di voci e indiscrezioni, spesso amplificate da una sensibilità esasperata”. E se per il Manchester United il futuro borsistico è molto incerto, ma ancora tutto da scrivere, per i tre club italiani quotati, Lazio, Roma e Juventus, il dramma si è già consumato. La Lazio, la prima a fare il debutto a Piazza Affari nel lontano 1998 a 5.900 lire (3,046 euro), viene scambiata a 0,41 euro. La Roma, che la seguì nel 2000 a un prezzo di collocamento di 5,5 euro, vale oggi più solo 0,464 euro. La Juventus, infine, che si presentò ai propri azionisti-tifosi nel 2001 a un prezzo di 3,7 euro, vede ora passare i propri titoli di mano a un prezzo di 0,195. Tutti ribassi nell’ordine del 90%, conditi negli anni da notizie di false scalate, sbalzi improvvisi dei titoli e scandali calcistici e finanziari. Roba al cui confronto le intemperanze dei tifosi negli stadi sono passatempi da educande.