Sono ormai passati quattro anni dal collasso di Lehman Brothers ma lo stato di salute delle banche europee è tutt’altro che migliorato. E questo nonostante gli enormi aiuti arrivati agli istituti di credito dagli stati nazionali e dalla Bce. Secondo uno studio dei revisori contabili di Pricewaterhouse Coopers, i crediti divenuti inesigibili nascosti nei bilanci degli istituti di credito del Vecchio Continente sono passati dai 500 miliardi di euro del 2008 agli attuali 1005 miliardi. Somma che equivale a circa la metà del debito pubblico italiano.
La notizia peggiore, però, non è che le sofferenze sono raddoppiate nell’arco di un quadriennio ma che la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente, mettendo così a durissima prova qualsiasi rete di salvataggio messa a punto dall’Unione Europea. La crisi dell’economia reale, innescata da quella finanziaria e provocata dunque dalle banche stesse, non può che portare a nuovi fallimenti societari e personali con conseguente aumento dei crediti incagliati, quelli cioè che la banca vanta verso un cliente in situazione di obiettiva difficoltà, che si ritiene però superabile, ma anche di quelli in sofferenza, ovvero nei confronti di soggetti in stato di insolvenza. Un circolo vizioso da cui, almeno per ora, non si riesce ad uscire.
In un quadro così compromesso spicca (in negativo) la performance degli istituti italiani che, nel 2011, è stata la peggiore fra i grandi Paesi europei. Alla fine del 2011 le sofferenze, ovvero i prestiti su cui le banche non incassano rate da più di 90 giorni, sono aumentate del 37% rispetto a dodici mesi prima a quota 107 miliardi. Peggio è andata solo agli istituti greci che hanno visto crescere i crediti inesigibili del 50% a 40 miliardi. Anche per le banche spagnole le cose si stanno mettendo molto male: +23% a 136 miliardi. Nettamente migliore è stata invece la performance delle banche tedesche e inglesi, le cui sofferenze sono rimaste stabili, rispettivamente a quota 196 miliardi e 172 miliardi. A livello continentale l’aumento è stato del 9% a 1005 miliardi, una cifra che peraltro non tiene conto del probabile fallimento greco e dei quasi certi maquillages contabili realizzati dagli amministratori delle banche.
“Questi dati non stupiscono – spiega Markus Burghart, amministratore di Pricewaterhouse Coopers – Sono l’effetto della crisi economica dei Paesi dell’Europa del Sud e per il futuro non è possibile ipotizzare un’inversione di rotta perché la congiuntura continua a essere molto debole”. Questo significa che per le imprese sarà sempre più difficile ottenere linee di credito per investire in nuovi macchinari (o anche solo per pagare gli stipendi nel caso in cui i clienti tardassero a saldare le fatture). Per i privati, invece, dopo il -47% delle erogazioni registrato a inizio anno, l’accensione di un mutuo continuerà a essere un miraggio, mentre il credito al consumo verrà concesso con il contagocce e a tassi di interesse proibitivi.
Per quel che riguarda l’Italia, Pricewaterhouse Coopers sottolinea il fatto che, a differenza di altri Paesi, non si è assistito a uno scoppio di una bolla immobiliare (e se ciò fosse avvenuto anche da noi, il dato sarebbe di gran lunga superiore ai 107 miliardi). Inoltre la società di revisione ha rilevato come i nuovi prestiti siano cresciuti in maniera anemica (+3,6% il volume totale dei crediti concessi; +3,1% il credito alle imprese; +4,3% i prestiti alle famiglie). Questi dati indicano come il balzo delle sofferenze sia figlio della politica dei prestiti del passato.
E chi ha seguito le vicende dei Ligresti e di altri nomi noti della finanza italiana può facilmente immaginare quali siano le vere cause delle sofferenze delle banche italiane. Una conferma di questo mal funzionamento del sistema bancario italiano è arrivata ancora di recente dal carteggio segreto fra Marco Tronchetti Provera e Vittorio Malacalza rivelato da Indymedia, da cui emerge chiaramente come l’ultima preoccupazione del marito di Afef sia l’effettiva possibilità di accedere a nuovo credito, nonostante Camfin sia già parecchio indebitata.