Politica

Fermare il declino è difficile, ma possibile. Provare per credere

Nonostante le buone intenzioni di molti – fra i quali gli aderenti a Fermare il Declino (FilD) spero siano solo una piccola anche se importante minoranza – ogni giorno che passa mi convinco che sarà un’operazione improba. Questo non implica che la si abbandoni: alla fin fine le “cause perse”, purché meritevoli e valide, sono le uniche a cui valga la pena dedicarsi. Al mondo ci son da sempre fin troppi furbetti pronti a saltare sul carro del vincitore, uno in più potrebbe far crollare il carro. Cercare di fermare il declino italiano operando perché cambino radicalmente le sue élite politiche, più d’ogni altro responsabili del medesimo, è forse una causa persa ma è troppo importante per essere abbandonata alle prime difficoltà. Le reazioni di svariati opinion makers italiani alla lettera che assieme ad altre cinque persone ho firmato e che il Corriere della Sera ha pubblicato il giorno di Ferragosto – oltre a confermare, appunto, che la strada è in salita perché evidentemente non siamo ancora riusciti nemmeno a spiegare cosa ci proponiamo di fare – inducono qualche riflessione su cosa sia necessario fare per fermarlo, il declino.

Permettetemi di togliere di mezzo le osservazioni più fantasiose invitando a una lettura sia del testo integrale della missiva, pubblicato fra gli altri sul sito di noisefromamerika.org, sia dei vari documenti che FilD, nei suoi 19 giorni di vita, ha prodotto e che sono disponibili sul suo sito. Questo dovrebbe chiarire che:
(i) FilD non ha alcuna intenzione d’essere “assorbita” da Italia Futura (IF),
(ii) non intendiamo diventare la ruota di scorta di Casini e dell’Udc e,
(iii), non si tratta dell’ennesimo gruppetto di liberali alla ricerca d’un carro su cui saltare.
Dovrebbe anche chiarire, infine, che l’assenza di un “grande leader” non ci tarpa per nulla le ali. Al contrario, offre agli aderenti l’opportunità per discutere e confrontarsi apertamente sulle cose da fare tenendo ben in mente che non è l’ideologia che conta né l’adeguamento ai desideri e strategie del grande leader, ma la capacità di risolvere i problemi concreti. Fatto questo, se le proposte riscuoteranno sufficienti adesioni, i leader si troveranno utilizzando quei processi di selezione democratica che altrove sono pratica comune ma che in Italia, evidentemente, appaiono a tutti impossibili illusioni. Bene, il primo contributo di FilD all’arresto del declino (e, spero, anche di IF) sarà proprio mostrare che anzitutto vengono le buone idee, che esse si producono con il dibattito fra persone competenti e che i leader si possono scegliere dopo, in modo trasparente e democratico. Aspettare per credere.

Di diversa qualità da quelli fantasiosi il commento di Pierluigi Battista sul Corriere del 17/8. Dopo una partenza con la quale vorrei dissentire – è davvero vero che questo non intende essere il solito gruppetto di liberali elitari, non solo perché quell’ettichetta oramai ha perso pregnanza ma soprattutto perché i problemi che dobbiamo risolvere richiedono saper pensare in modo innovativo e senza “ismi” – Battista coglie il problema di fondo che la nostra iniziativa vuole cercare d’affrontare e che, riconosciamolo, è ben lungi dall’aver risolto anche se ci prova. Lo riformulo nel mio vocabolario: non basta essere di “centro” e “moderati” per andare oltre le ideologie e le incompetenze che hanno ridotto il paese nello stato in cui si trova. Il ricambio delle élite politiche di cui, noi argomentiamo, il paese ha drammatica necessità, coinvolge anche il “centro moderato”. Anche perché esso – da quando esiste – altro non è che un luogo elettorale privo di contenuti e di proposte, definito solo dalla sua alterità tattica verso la destra e la sinistra ma continuamente tentato, proprio perché solo di tattica vive, ad allearsi con l’una o con l’altra. Non passa da lì il cambiamento di cui il paese ha bisogno ma dall’emergere di un’aggregazione politica definita da ciò che intende fare e non dalle sue tattiche, dai suoi ideologismi, dai suoi “carismatici” leader.

Questo miracolo italiano è oggi possibile se si affermano due difficili verità. Che davvero, con poche eccezioni individuali, tutta questa classe politica ha fallito e va ricambiata. Che la società civile italiana contiene ancora un quantità sufficiente di risorse umane d’alta qualità da rendere questo ricambio possibile e l’aggregazione attorno alle proposte fattibile. Basta crederci: il re ed i suoi cortigiani son nudi e noi possiamo governarci anche senza di loro. Provare per credere.

Il Fatto Quotidiano, 18 agosto 2012