Il mio vecchio direttore al Secolo XIX di Genova, un professionista coi fiocchi la cui testa fu richiesta e ottenuta dal city boss locale che non ne tollerava l’indipendenza di giudizio, mi diceva sempre che c’è una domanda irricevibile da parte di un giornalismo degno di questo nome: la perfidia melliflua del “a chi giova”. Perché una notizia è vera o falsa, un commento sta in piedi o meno, il resto non conta.
Ma cos’altro ha fatto nell’articolessa domenicale de la Repubblica Eugenio Scalfari sbattendo in castigo il reprobo Gustavo Zagrebelsky, reo del terribile misfatto di aver smontato con lucida pacatezza giorni fa, sulle pagine dello stesso quotidiano, il castello argomentativo dei pretoriani del Giorgio Napolitano in guerra contro i giudici palermitani? Già dal titolo: “perché attaccano il capo dello Stato”, che insinua l’idea di intenti cospirativi da parte dei critici.
Va detto che la specie giornalistica si suddivide in tre razze: i “giornalisti-giornalisti”, all’esclusivo servizio del ruolo informativo senza se e senza ma, i “giornalisti che timbrano il cartellino”, burocrati che evitano come la peste rischi e problemi insiti nel mestiere correttamente inteso, infine i “giornalisti-politici”, quinte colonne di un qualche Potere (o di tutti i Poteri) sotto mentite spoglie.
Scalfari è il massimo esponente vivente di quest’ultimo tipo umano, visto che si è sempre mosso sul doppio binario dell’intervento diretto in politica (qualche volta come suggeritore, qualche altra in presa diretta) e il suo modello è quello del giornale-partito. Proprio per questo l’ermeneutica del sospetto su “cosa ci sta dietro” è molto più ragionevole nei suoi confronti, che non nei riguardi di quanti vorrebbe farci sospettare di secondi fini.
Ammettiamo pure che la polemica verso il Presidente della Repubblica risponda anche all’esigenza di mantenere il dibattito pubblico su tono tendenti al sovreccitato. E allora? Si tratta di una scelta editoriale che i lettori premieranno o meno.
Molto più interessante (perché questione politica e non informativa) capire quanto “sta dietro” all’operazione di blindare Napoletano in una sorta di intoccabile santità.
Ossia i segnali sottotraccia dell’operazione, che ruota attorno all’esponente più in vista del vecchio ceto politicante (ghostwriters e intendenza compresi), finalizzata alla sopravvivenza; schivando gli attacchi provenienti dalla vasta e variegata area dell’indignazione. Le mosse sono due: favorire la transizione surrettizia verso forme di presidenzialismo de facto, creare un’aggregazione di partiti per fare blocco contro le irruzioni esterne, tagliando le ali dello schieramento parlamentare: l’inciucio alla vaccinara D’Alema-Berlisconi-Fini nel suo restyling sobrio, supportato dalle consulenze professorali al governo.
La Lega con le sue mattane ha pensato bene di farsi fuori da sola, Antonio Di Pietro vede con chiarezza la minaccia incombente e le agita contro la roncola contadina da bravo Bertoldo del XXI secolo. Il più politicante Nichi Vendola ha preferito l’imbarco di sicurezza, lasciando a terra i vecchi alleati, per non offrire un bersaglio alla falce mietitrice di teste che si intuisce in avvio (e poi ha sempre più bisogno di uno scudo protettivo, visto che “il miracolo” della sua Puglia sta rivelando ben altri risvolti…). Per questo la consegna è quella del non disturbare il manovratore, sia che a farlo sia un intellettuale del calibro di Zagrebelsky o qualche penna fuori del coro. Come detto già altre volte, la sempiterna logica del “sopire e troncare”.
Quello che disturba è sentirla raccontare come lezione di giornalismo responsabile (parola che ormai inconsciamente colleghiamo agli Scilipoti). Perché, se fossero stati responsabili, Carl Bernstein e Bob Woodward non avrebbero smascherato lo scandalo del Watergate. Manlio Cancogni, tanti anni fa, non avrebbe rivelato le malefatte della speculazione edilizia romana con la celebre inchiesta “Capitale corrotta, nazione infetta”; pubblicata da l’Espresso, poi diretto da Eugenio Scalfari. Ma allora il direttore era un giornalista-giornalista: Arrigo Benedetti.