Nel suo editoriale domenicale il fondatore di Repubblica risponde al presidente emerito della Consulta, che aveva invitato il Colle a ripensare al conflitto di attribuzioni sollevato con la Procura del capoluogo siciliano. Sui pm dice: "Ci sarebbero da esaminare i risultati delle inchieste che da vent'anni si svolgono a Palermo e Caltanissetta e che finora hanno dato assai magri risultati". E l'ex ministro della cultura paragona le idee del giornalista a quelle di B: "Le opinioni del Cavaliere sostenute da una penna potente"
“Ci sarebbe da distinguere tra trattativa e trattativa. Quando è in corso una guerra la trattativa tra le parti è pressoché inevitabile per limitare i danni. Si tratta per seppellire i morti, per curare i feriti, per scambiare ostaggi”. Parola di Eugenio Scalfari. Il fondatore di Repubblica, nel giorno in cui Antonio Ingroia risponde alle critiche di Monti, ritorna sulla questione dei rapporti tra Stato e mafia e sulla vicenda delle intercettazioni delle telefonate tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino per rispondere a quanto scritto, sempre sulle colonne del quotidiano di Largo Fochetti, dal presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelski. Il costituzionalista, infatti, dando ragione ai pm di Palermo, aveva invitato il Colle a ripensare al conflitto di attribuzione sollevato con la Procura del capoluogo siciliano. Scalfari la pensa diversamente e, per rispondere a Zagrebelski, fornisce una visione tutta personale di quanto accaduto nella stagione delle stragi, paragonando quest’ultima agli anni di piombo.
La trattativa, appunto. “Avvenne così molte volte ai tempi degli anni di piombo. Il partito della fermezza che non voleva trattare con le Br, e quello della trattativa. Noi fummo allora per non trattare; socialisti, radicali e una parte della Dc erano invece per la trattativa. A nessuno però sarebbe venuto in mente di tradurre in giudizio Craxi, Martelli, Pannella, ed anche Sciascia e molti altri intellettuali che volevano trattare” scrive il giornalista, che poi, fuor di paragone, passa a una spiegazione più netta del suo pensiero in riferimento a quanto accaduto tra la Sicilia e Roma nei primi anni Novanta.
“Qual è dunque il reato che si cerca, la verità che si vuole conoscere?” si chiede Scalfari: “Deve essere un’altra e non questa. Deve essere – come alcune frasi d’una delle innumerevoli interviste di Ingroia fa pensare – una trattativa svoltasi in una fase in cui la mafia era ridotta al lumicino e per tenerla in vita si invocava l’aiuto dello Stato. Questo sì, se fosse provato, sarebbe un crimine – è la convinzione di Scalfari – Un crimine di enormi proporzioni. E’ di questo che si tratta? E quand’è che la mafia sarebbe stata ridotta al lumicino e costretta ad invocare il sostegno dello Stato? Nel ’92-’93? Quando i Corleonesi presero il sopravvento sul clan di Badalamenti? Non sembra che in quegli anni fossero ridotti al lumicino, anzi”.
Questa la parte inerente la trattativa. Per quanto riguarda la risposta a Zagrebelski, invece, Scalfari utilizza meno punti interrogativi e più certezze. Innanzitutto in merito alle ‘intenzioni’ del presidente emerito della Consulta. “L’eterogenesi dei fini opera invece, anche se Zagrebelsky mostra di non rendersene conto, sulle opinioni da lui espresse nell’articolo in questione il quale rafforza e conforta col prestigio giudiziario del suo autore la campagna in corso da tempo contro il Quirinale. Una campagna in corso prima ancora che le inchieste palermitane fornissero un’ulteriore occasione e che ha poi acquistato una virulenza che va molto al di là del sacrosanto diritto di informazione e di critica”. Non solo. Scalfari, infatti, dà una sua interpretazione sui fini di Zagrebelski. “Ho molta stima per l’esperienza giuridica di Zagrebelsky e l’invito perciò a porsi il problema dell’uso che verrà fatto da quelle forze politiche e da quei giornali delle sue dichiarazioni – è il parere del fondatore di Repubblica – Ma mi coglie il dubbio che Zagrebelsky ne sia già perfettamente consapevole e che quindi, nel suo caso, non si tratti di eterogenesi dei fini ma d’un esito consapevole come dimostra la dichiarazione rilasciata qualche giorno fa al Fatto Quotidiano e altri suoi articoli e interventi sul medesimo argomento. Mi piacerebbe che il mio dubbio fosse fugato ma temo che questa mia speranza si risolva in una delusione”.
Dopo aver ispezionato l’articolo del giurista e aver trovato una contraddizione in termini in alcune parti del pezzo (per Scalfari il giurista dice che bisogna astenersi dall’esprimere giudizi sulla fondatezza del ricorso alla Corte, ma poi in realtà è lo stesso Zagrebelski a dare giudizi, ndr), il giornalista sottolinea la sua differenza di vedute con il presidente emerito della Consulta: cioè che l’esito del pronunciamento della suprema Corte è tutt’altro che scontato. A sentire Scalfari, quindi, è possibile che i supremi giudici diano torto (in qualche modo) a quanto sostenuto da Giorgio Napolitano.
Nel suo attacco alle indagini della Procura di Palermo, poi, Scalfari non ha risparmiato un’altra, pesante considerazione. “Ci sarebbero da esaminare i risultati delle inchieste che da vent’anni si svolgono a Palermo e Caltanissetta e che finora hanno dato assai magri risultati tranne quello – a Caltanissetta – d’aver fatto condannare a 17 anni di reclusione un mafioso accusato dell’omicidio di Borsellino, poi rivelatosi innocente dopo aver scontato otto anni di carcere duro”. Il riferimento, neanche a dirlo, è al ‘pentito’ Vincenzo Scarantino.
Non è un caso, poi, che la prima reazione di ‘plauso’ all’editoriale di Scalfari arrivi da chi tradizionalmente non ha un rapporto idilliaco con Repubblica. “Anche la sorpresa e il sottile piacere di scoprire le opinioni del Presidente Silvio Berlusconi niente meno che sulla giustizia sostenute dalla penna potente di Eugenio Scalfari è una sorta di eterogenesi dei fini, o più semplicemente un altro segno dei tempi”. Scalfari come Berlusconi: parola – e nota stampa – firmata da Sandro Bondi.
E sulla vicenda tornano i tweet a tema di Fabrizio Rondolino, che prima attacca il presidente emerito della Consulta (“La tesi del golpista Zagrebelski: chi rispetta la legge aiuta i mafiosi”), e poi fornisce una sua lettura in merito agli ultimi interventi di Antonio Ingroia (“Aizzato dal golpista Zagrebelski l’esibizionista guatemalteco se la prende con Monti”). L’ultimo affondo del giornalista, invece, è per i pm della Procura palermitana. Per loro il messaggio è ancora più chiaro: “Togliamo la scorta ai magistrati di Palermo, subito”.