È un’aperta polemica contro chi vorrebbe la chiusura dell’Ilva quella che il ministro dell’ambiente Corrado Clini lancia dal meeting ciellino di Rimini.
“Quest’idea del secolo scorso –afferma Clini- per cui le politiche ambientali sono in contrasto con le politiche dello sviluppo, richiamata drammaticamente dai provocatori che in questi giorni a Taranto hanno cercato di impedire il processo di risanamento dell’Ilva, è un’idea sciagurata, non solo sbagliata, perché se si contrappone sviluppo e ambiente noi non riusciremo a risolvere la nostra crisi economica attuale”. “Bisogna fare in modo –continua il ministro- che l’industria investa nell’innovazione tecnologica. A questa soluzione si oppongono quegli estremisti ambientalisti che vogliono la chiusura del centro siderurgico ma questa non è la soluzione”.
Oggi Clini dimostra di avere una strategia chiara sull’Ilva, ma prima che l’emergenza esplodesse non è mancato chi abbia accusato il ministero di essersi disinteressato dell’industria tarantina. Il 17 febbraio infatti il ministero dell’ambiente non era rappresentato negli uffici del gip di Taranto per l’incidente probatorio sulle maxi perizie relative alle acciaierie Ilva.
Il no show non è passato inosservato al presidente della commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti Gaetano Pecorella, che in una sua relazione sulla Puglia del 20 giugno ha scritto: “Non si comprende quale sia la ragione della mancata partecipazione del ministero dell’Ambiente a fronte di un procedimento di tale rilevanza nel quale era in corso di acquisizione una prova di grandissimo rilievo ai fini delle indagini”.
Inspiegabile è a detta del presidente Pecorella il fatto che il dicastero dell’ambiente non abbia presenziato a un’udienza nella quale sarebbero emersi i dati sulle centinaia di decessi, che hanno permesso di formulare accuse pesanti ai manager dell’Ilva e la richiesta di interrompere le emissioni atmosferiche.
“La rilevanza della perizia –continuava Pecorella- ha un rilievo extraprocedimentale ai fini della programmazione delle eventuali future iniziative del ministero con riferimento alle gravissime problematiche ambientali che da anni si trascinano”.
A questo richiamo si è aggiunto quello di Franco Sebastio, procuratore della Repubblica di Taranto, che ha scritto direttamente al ministro, chiedendo un’attenzione maggiore del governo. In tale lettera – si legge nella relazione della commissione bicamerale- vengono evidenziati elementi conoscitivi tali da destare particolare allarme, che “possono e debbono essere valutati dagli enti diretti destinatari di questa comunicazione, i quali sono titolari di specifici poteri-doveri di intervento in materia ambientale e, soprattutto, di tutela della salute e incolumità delle persone da esercitare senza ritardo”.
Per Clini non si tratta di disinteresse o di aver sottovalutato il problema: “All’incidente probatorio –dichiara il ministro in conferenza stampa- credo non fossimo neanche coinvolti. Appena saranno depositati gli atti della Procura della Repubblica ne prenderò visione”.
C’è poi un altro documento che getta ombre sulle responsabilità del ministero dell’ambiente nella vicenda Ilva: è il rapporto del Nucleo operativo dei carabinieri di Lecce che documenta il disastro ambientale di Taranto, con le fughe di emissioni “diffuse e fuggitive” dagli impianti, rapporto arrivato sui tavoli del ministero già nel 2011, quand’era in carica Stefania Prestigiacomo.
Allora come mai il ministero non è intervenuto prima, se era già a conoscenza della reale situazione dell’area industriale? “A chi mi domanda -replica Clini- “hai fatto il direttore generale per 20 anni e non te ne sei accorto?” rispondo che me ne sono accorto da cittadino, ma non potevo intervenire. Siccome nel 1999 mi occupavo troppo di industria e ambiente ed ero poco disponibile a assecondare il trend ambientalista locale, l’allora ministro Willer Bordon decise che mi dovevo occupare d’altro, di tematiche internazionali. Da allora, non mi sono più occupato di questioni ambientali italiane all’interno del ministero dell’ambiente. Ho ricominciato da ministro, ma ripartendo dal 1993 e non dal 2011”.
Chiude poi Clini con una frecciata a Di Pietro: “Lui dice che io non ho fatto niente finora per l’Ilva. Vorrei chiedere a lui che ministro lo è stato per un po’ di tempo se si è mai accorto dei problemi dello stabilimento”. Intanto le forze politiche, sociali e l’azienda stessa si chiedono se sarà possibile salvaguardare le ragioni del lavoro e quelle dell’ambiente. Da cittadino il procuratore Sebastio dice di augurarselo, come tutti, ma poi torna a vestire la toga, ricordando che come magistrato non può partecipare alle concertazioni e quindi compito suo e dei suoi colleghi è “stare rigorosamente fuori dai tavoli”.
Il ministro dello sviluppo economico Corrado Passera vorrebbe come Clini salvare l’impianto. “Rimane fortissima la convinzione –ha detto al Meeting di Cl- che ci sia la possibilità di garantire lavoro e salute. Il governo ha messo sul tavolo risorse rilevanti, perché pensiamo che questo sito non debba essere oggetto di una decisione irrimediabile come lo spegnimento. Certo bisogna fare gli investimenti necessari per portare i livelli di inquinamento agli standard europei”.
Mentre si attende di sapere che sorte toccherà all’Ilva, nei tribunali continuano i processi a carico dell’acciaieria. La prima indagine contro l’Italsider risale al 1982, quando fu proprio Sebastiao a condannare, per diffusione di polveri, Sergio Noce, il direttore d’allora. A quella prima condanna seguì poi quella per gli scarichi a mare di sostanze inquinanti.
Grazie alle condanne qualcosa si fece per migliorare l’impatto ambientale del sito. Nello specifico fu creato un fondo per gli interventi ambientali grazie al quale venne realizzata una serie di interventi come il sistema di irrorazione con acqua dei parchi minerari, per evitare la diffusione delle polveri.
Se è vero, come evidenzia Clini, che “la sfida ambientale è un’opportunità di crescita e sviluppo” e che “l’ultimo rapporto dell’Ocse dice che non c’è opportunità di crescita globale se questa crescita non passa dalla green economy”, allora a Taranto si riparte dall’Ilva. Ma il rilancio si prevede tutt’altro che scontato e privo di nuove contestazioni.