James Russell Lowell, poeta americano dell’Ottocento, è noto in particolare per uno dei suoi aforismi: “Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione”. Tempo fa mi capitò di trovare, tra gli scaffali di una libreria, un vecchio libro usato ed impolverato. Il titolo attirò subito la mia attenzione: ‘Strategia del terrore. Contributi per un’analisi’. Sfogliandolo scoprii che conteneva gli atti di un seminario sul terrorismo organizzato, tra il 1981 e il 1982, dal Circolo Culturale Giovanile Cà de Mandorli di San Lazzaro, nei pressi di Bologna. Tra gli interventi lì raccolti mi colpì in particolare quello dell’ex presidente della Camera Luciano Violante, ex magistrato, al tempo deputato quarantenne del Pci. Oggi, dopo aver letto il j’accuse di Violante contro “il populismo giuridico di un blocco che fa capo al Fatto, a Grillo e a Di Pietro”, sono andato a cercare quel libro. E ho capito, rileggendo le sue parole di trent’anni fa, che il non più giovane Violante non è morto e non è uno stupido… Ecco alcuni passaggi illuminanti:
«Voglio dire che quelle impunità, manipolazioni, deviazioni, quei tentativi di spostare i giudici dalla traccia giusta alla traccia sbagliata, hanno segnato profondamente la coscienza di generazioni di uomini e donne, di generazioni di giovani; intendo dire che quei giovani che avevano 15, 16, 17 anni nel 1969, sono nati in una cultura politica del paese contrassegnata da stragi, da attentati, da depistaggi, da morti, da violenza, da spionaggio: da tutto questo mondo è nata una cultura della difesa della libertà e della democrazia che ha avuto delle componenti fortemente anti-istituzionali; questo non possiamo nasconderlo. Ma perché questo? Perché è emersa un’immagine di pezzi, di settori di Stato i quali erano con le mani profondamente dentro questo tipo di terrorismo. Le generazioni che si sono formate in quegli anni sono state spaccate da questo dato, hanno vissuto un travaglio politico profondo, hanno visto lo Stato formato soltanto dai vari Maletti, Miceli, ecc. Non hanno visto altre facce, altri aspetti. (…) Certo: se avessimo altri tipi di partiti, altre forze di sinistra, le cose sarebbero più semplici. Ma certo non ci sarebbe un problema di direzione politica democratica del nostro paese. (…) Il terrorismo ha fatto emergere il problema fra giovani generazioni e Stato. (…)
Però voglio dire che lo Stato non è solo quello, lo Stato è fatto di giudici come De Matteo e di giudici come Alessandrini, è fatto di tante cose. Nello Stato ci siamo molti di noi e ci sono molti di voi, lo Stato è una cosa complessa e guardate che è importante far capire in ogni momento a chi lavora onestamente in questo Stato che la sua opera non è perduta. Il lavoro di un agente, di un giudice, di un carabiniere, di un poliziotto, è un lavoro che si fa da soli, con la minaccia costante, in un mondo che è molto più democratico oggi in certi settori, ma in cui gli elementi di democrazia devono conquistarsi quotidianamente spazi. Ma noi dobbiamo dare forza a costoro.
Il nostro obiettivo, di noi forze democratiche che ci muoviamo nella società civile, è dare forza, respiro, spazio a chi nello Stato si muove con gli strumenti di democrazia e chiudere ogni spazio a chi invece si muove con gli strumenti della non democrazia: guai se facessimo di tutta l’erba un fascio, se schiacciassimo tutti sul muro dell’inefficienza, dell’incapacità e dell’infedeltà. Che cosa faremmo? Faremmo un regalo a quelli che sono incapaci e che sono infedeli perché se sono tutti uguali allora non vale la pena di essere onesti.
Pochi giorni prima che Emilio Alessandrini venisse ucciso [29 gennaio 1979, nda], ci si vide al Tribunale di Milano per un lavoro e, in quella circostanza, il magistrato ricevette un messaggio da parte di un organo di polizia che gli segnalava il pericolo di un attentato armato nei confronti di un giudice. Si parlò un momento di questa cosa e lui disse: “Sai, facendo questo lavoro può anche capitare di essere uccisi, di rimetterci la pelle, però quello che ti dà la forza di farlo è sapere che quando muori al tuo funerale non verranno soltanto le cento persone che hai conosciuto, ma verranno migliaia di persone che tu non hai mai conosciuto, ma che hanno capito che sei morto per i loro diritti. Ricordiamoci di questa cosa, questo dà più forza alla nostra lotta.».
Chiuso il libro mi è subito venuto in mente un altro aforisma di Lowell: “Se la gioventù è un difetto, essa è un difetto di cui ci liberiamo troppo presto”.