“Tornare in Italia è stato uno shock. L’ho lasciata nel 1999, e sono tornato nel 2010. Per la prima volta l’ho vissuta da adulto, e ho trovato un paese stanco, vecchio, difficile”. Alessandro Valera (secondo da destra nella foto) trent’anni, ha le idee chiare. Dopo undici anni di esperienza all’estero, era ora di tornare a casa: una scelta audace, ma fortemente voluta.

Ironia della sorte, è stata l’organizzazione inglese “European Alternatives” a dargli il lavoro che gli permette di vivere a Roma: “Se avessi aspettato di essere assunto da qualche realtà italiana – spiega – forse starei ancora cercando un lavoro”. Sa di essere un caso raro, uno dei pochi ritornati di questi tempi: “Qui le competenze ci sono, le persone con cui lavoro non sono da meno di quelle che si incontrano all’estero. Semplicemente lo Stato non concede gli strumenti per sviluppare le proprie idee”. Conclusi gli studi con una collezione di borse di studio e un master in comunicazione politica alla London School of Economics, Alessandro non ha avuto difficoltà: “Avevo 23 anni, una buona preparazione, ed era prima della crisi. Quanto bastava a trovare lavoro in meno di due settimane”.

In Inghilterra era consulente per i ministeri su politiche giovanili e istruzione, ma in Italia era sempre visto come un giovane: “Quando cercavo lavoro, tutti rispondevano con pacca sulla spalla, guardandomi dall’alto in basso, dicendomi: ‘Ah, bravo ragazzino, stai in Inghilterra che qui non c’è futuro’”. Perché tornare, dunque? Presto detto: “Non sono mai riuscito ad abbandonare l’identità italiana, sentivo sempre di avere una responsabilità verso il mio paese, soprattutto vedendolo andare sempre più indietro. Gli stranieri ti chiedono perché un paese che crea così tanto talento fosse governato da una persona come Berlusconi. All’estero sei chiamato a rappresentare il tuo paese, a dare risposte”.

La sua fortuna, con il lavoro in un’organizzazione che promuove politiche e culture transnazionali, è di poter viaggiare molto e contemporaneamente costruirsi una vita a Roma. A margine, ha anche creato con un amico Con.senso – una società di comunicazione 2.0 – che aiuta privati e partiti a sfruttare il potenziale dei nuovi media per le proprie attività. Sia a livello professionale che privato, l’impegno politico è un fattore essenziale nelle scelte di Alessandro. “Altra difficoltà enorme al rientro in Italia è stata quella del riconoscimento pubblico della mia vita privata. Io sto da 6 anni con la stessa persona, del mio stesso sesso. Ci siamo sposati lontano, a Buenos Aires. In Italia ci viene negato un diritto di cui, essendo cittadino europeo, potrei invece godere in Inghilterra. Conosco gente che si rifiuta di tornare in Italia perché non ha le stesse tutele che altrove”.

Questo spiega in parte perché, secondo Alessandro, ci si trovi a fuggire: “Scappa chi per far il cameriere in Italia deve vivere con i genitori guadagnando 800 euro al mese, invece facendo il cameriere a Londra si può permettere una vita dignitosa, avere un figlio, comprare una casa. Però scappano anche i cuori, quelli di chi a casa propria deve nascondere la propria sessualità e va a Londra dove invece si può sposare e dove la legge tutela la sua identità sessuale. Non fuggono solo i geni. Il problema dell’Italia è ben maggiore, è una fuga di cervelli, ma anche di cuori, gambe, braccia, corpi”. La soluzione per far tornare alcuni dei nostri fuggitivi non è solo trovare loro un lavoro. C’è anche dell’altro, e ci vorrà tempo per lavorarci su. Alessandro ha scelto di partire da qui, dal suo paese.

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