Il leader del Front de gauche ha attaccato a più riprese il presidente francese. Uno strappo che, in vista di un autunno caldo, può costare caro al capo del partito socialista, già in calo in tutti i sondaggi. "La gente lo ha eletto perché faccia una politica di sinistra, non perché attenda in un futuro indefinito per essere tale"
Un autunno caldo si avvicina in Francia, con grandi aziende come Peugeot-Citroen e Air France che si apprestano a licenziare in massa. Intanto François Hollande cala sempre più nei sondaggi. Ebbene, in questo contesto, dopo mesi di silenzio, Jean-Luc Mélenchon ha preso la parola contro il presidente. Leader dell’estrema sinistra francese, colui che al primo turno delle presidenziali strappò l’11,1% dei consensi per poi appoggiare Hollande al ballottaggio contro Sarkozy (non avrebbe vinto senza il sostegno del Front de gauche), ha liquidato così i primi mesi di mandato del presidente socialista: «Cento giorni per non fare quasi niente». Lo strappo ormai esplicito di Mélenchon, con il suo seguito nelle classi popolari e anche tra una certa sinistra urbana più intellettuale, può costare caro a Hollande, ora che l’autunno caldo inesorabilmente si avvicina.
Mélenchon, classe 1951, origini modeste, una laurea in Filosofia, ma anche un inizio di vita professionale come operaio, sta ormai parlando a ruota libera (prima in un‘intervista al Journal de dimanche, poi alla radio France Inter e apparentemente non si è ancora fermato), andando dritto al nocciolo della questione. «Era da dieci anni che la sinistra non si ritrovava al potere – ha sottolineato -. Abbiamo vinto e, ricordiamolo, grazie a noi: senza i quattro millioni di voti del Front de gauche (raccoglie i comunisti e altri gruppi di estrema sinistra, ndr) non si sarebbe battuto Nicolas Sarkozy. Ecco, una volta sconfitto, arrivano una decina di grossi piani di licenziamento da parte di aziende importanti del nostro Paese. E’ la democrazia. Ma il nuovo Governo avrebbe dovuto rispondere subito, prendere delle misure. La gente ha eletto la sinistra perché faccia una politica di sinistra, non perché attenda in un futuro indefinito per essere di sinistra».
Mélenchon invoca soprattutto quelle riforme di cui lo stesso Hollande aveva parlato durate la campagna, destinate a limitare lo strapotere della finanza. «Ci vuole subito una riforma bancaria e la creazione di un polo pubblico in questo settore – ha commentato – e occorre una legge contro i « licenziamenti borsistici», per impedire che i grandi gruppi buttino fuori lavoratori per dare un contentino agli investitori in Borsa: si eliminano posti di lavoro così poi l’azione sale. Anche sullo Smic, il salario minimo imposto dalla legge, noi avremmo agito in maniera diversa». Il governo costituito da Hollande e presieduto dal socialista Jean-Marc Ayrault ha rivisto al rialzo lo Smic del 2%, portandolo a quota 1.425 euro mensili lordi. Mentre Mélenchon, durante la campagna delle presidenziali, aveva costantemente chiesto un aumento fino a 1.700.
In questi mesi il presidente del Front de gauche era rimasto muto («Mi sono preso le mie più lunghe vacanze da 30 anni a questa parte»). Ne ha approfittato anche per viaggiare all’estero, in particolare in Venezuela, dove ha sostenuto il suo amico Hugo Chavez, in vista delle presidenziali del 7 ottobre. Ora, però, Mélenchon ha deciso di ritornare alla ribalta. Ce l’ha con Hollande anche per la sua politica sui Rom e gli sgomberi di diversi accampamenti effettuati quest’estate: «Qual è la differenza tra una baracca distrutta per ordine di un ministro di destra e una per volontà di un ministro di sinistra? La repressione è la sola alternativa?». Definisce il neopresidente «un social-liberale, come quelli che hanno portato ai disastri di Grecia, Spagna e Portogallo». E invoca l’ala sinistra del Partito socialista (dalla quale proviene: solo nel 2008 lasciò quella formazione politica) a prendere l’iniziativa e a ritrovare la sua autonomia.
Le reazioni da parte dei socialisti non si sono fatte attendere. Secondo David Assouline, portavoce del Ps, «quello che il presidente ha fatto finora è abbastanza eccezionale», mentre Arnaud Montebourg, ministro del Risanamento produttivo, catalogato proprio nella sinistra del partito, ha ricordato che «non è in cento giorni che si cambia il Paese ma in cinque anni». D’altra parte Mélenchon ha concretamente pochi strumenti in mano per influenzare il cursus politico di Hollande. Dopo che il suo appoggio è stato fondamentale per la vittoria, è stato praticamente scaricato dal neopresidente. Una volta formato il nuovo governo, nessun ministro è stato nominato nelle file del Front de gauche. E alle legislative successive, i socialisti, sicuri di ottenere la maggioranza dei seggi all’Assemblea nazionale, grazie al sistema elettorale maggioritario e all’ondata di consensi per Hollande, non si sono alleati con il partito di estrema sinistra, che è addirittura passato dai precedenti 19 deputati ad appena dieci. Hollande e i suoi, però, sottovalutano forse l’effetto Mélenchon sull’opinione pubblica di sinistra. Imprevedibile. E potenzialmente pericoloso per loro. Ora che l’autunno caldo si avvicina.