A chi si occupa di strategie di comunicazione non può essere sfuggita l’esortazione che Monti ha lanciato ai giornalisti dai microfoni del Meeting di Comunione e Liberazione perché evitino di usare nei media una certa parola. Era dall’epoca del fascismo che non si sentiva censurare, sia pure in modo soft, una parola.
Quale parola? La diciamo o non la diciamo? E diciamola, va: la parola in questione è “furbi”. Per Monti, pronunciare quel maledettissimo aggettivo a proposito degli evasori, in un Paese in cui a tutti i livelli prospera il culto della furbizia, sarebbe come evocare il demone contro cui sembra che soltanto lui stia combattendo.
Ma poi, a che serve vietare? Sappiamo tutti come va a finire con il proibizionismo. Vietando quella parola, crescerebbe in modo esponenziale il suo consumo clandestino, nascerebbero organizzazioni che la commerciano illegalmente, i giovani farebbero a gara per procurarsela e condividerla con i loro amici. E alla fine in giro ci sarebbero più “furbi” di prima.
No. Nemmeno questa volta mi è piaciuto Monti. Dite che dovrei prenderla con filosofia? L’ho appena fatto. Anche per questo oggi mi fido più di un greco che di un uomo della finanza internazionale.