Giocare con le parole, riuscire a dire qualsiasi cosa e il suo contrario. Si avvicina la campagna elettorale e l’arte più antica del politico consumato diventa il vero terreno d’incontro tra il governo tecnico e lo scombinato schieramento di partiti che lo sostengono. Tra un eufemismo e un’ambiguità i concetti si sfumano, le differenze si attenuano, il terreno si spiana per le prove tecniche di grande coalizione. E quale occasione migliore del Meeting di Comunione e Liberazione, dove, a leggere certi giornali, a questi giovani piace sempre tutto: dopo essersi spellati le mani per Giulio Andreotti prima e Silvio Berlusconi poi, hanno applaudito l’ex comunista Giorgio Napolitano e oggi mescolano i santini di Alcide De Gasperi con la presenza trionfante di Roberto Formigoni, e riservano ovazioni alla prosa monocorde di Mario Monti: sono tutti uguali, accomunati dal generoso impegno per il bene comune. È una piattaforma politica, sulla quale il governo tecnico si è installato e comodamente assiso.

E infatti Mario Monti potrà sempre negare di aver detto che l’uscita dalla crisi è vicina. Infatti non l’ha detto. Parlando al Meeting di Cl, il premier, riferendosi in generale al concetto di fine della crisi, ha solo buttato lì un rapido inciso: “E per molti aspetti lo vedo avvicinarsi questo momento” . In sé significa poco, ci mancherebbe che il momento magico lo vedesse allontanarsi. Non importa. Le agenzie di stampa rilanciano subito che la fine della crisi “è vicina”, i giornali sparano titoloni a tutta pagina sull’uscita dal tunnel, qualcuno addirittura spiega che Monti ha portato a Rimini una ventata di ottimismo.

Arriva il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera che, interrogato dai giornalisti, ovviamente si allinea: “Sì certo, anch’io vedo l’uscita dalla crisi”. Poi aggiunge: “Dipenderà molto da quello che riusciremo a fare”. Ah ecco. Verba volant. Proprio dal palco di Rimini Monti ha rivendicato la pratica dell’eufemismo come ricetta per “darsi coraggio”, subito dopo essersi descritto impegnato “in un’attività non semplice in un momento non dei più facili”. Trattasi del rinomato umorismo inglese del premier, che alle volte sconfina in costruzioni sintattiche – direbbe l’interessato – non delle più limpide, come questa: “Un anno fa pensavamo meno di oggi di essere in crisi ma credo che lo fossimo di più”. Quindi oggi pensiamo più di ieri di essere in crisi, ma Monti ci dice che più di ieri siamo vicini all’uscita dal tunnel, e ce lo dice anche Passera, che poi però precisa: “La situazione in realtà è ancora un po’ peggio di quello che uno potrebbe immaginarsi”.

E quindi lo stato dell’economia italiana, come descritto da Monti e Passera a Rimini è il seguente: gli italiani credono di stare peggio di un anno fa, ma invece stanno meglio, però è anche vero che stanno peggio di quanto credono. Il che significa, se ci fate caso, che gli italiani hanno una percezione della crisi più precisa di quella descritta in modo così confuso dal governo tecnico.

E’ il problema degli eufemismi, che sempre celano un’ambiguità, qualche volta un’inganno. Monti avverte che sull’idea di ridurre le tasse “bisogna stare molto attenti perché ad essere aggravato sarebbe il paese nel suo insieme”. Passera poche ore dopo e dallo stesso palco sostiene che “abbiamo uno dei livelli di tassazione più alti del mondo, è una zavorra che dobbiamo correggere, bisogna trovare le risorse per il welfare e per ridurre le tasse ai cittadini onesti”. Dicono cose diverse? Sicuramente diranno di no, e infatti è solo questione di sfumature.

Eppure nella scelta delle parole si esercita un potere. È bastato che il premier, dopo un beffardo eufemismo (“la Rai è indipendente dal presidente del Consiglio, ma darò ai suoi vertici l’amichevole suggerimento…”) dicesse che non gli piace l’aggettivo “furbi” per gli evasori fiscali che il direttore del Tg2 Marcello Masi, già domenica sera, si affrettasse a fare autocritica e a dichiarare: “Ho già parlato con i miei perché in futuro non venga più usata”, quella brutta parola che non piace al nostro premier. Sembra la parodia di un regime.

I giochi di parole alzano quel polverone sotto il quale i partiti pensano di poter arabescare le più audaci strategie. E non sarà un caso se il potente governatore della Toscana, il Pd Enrico Rossi, ha lanciato il suo anatema contro le larghe intese riminesi: “Monti ha fatto un discorso da liberale. Possiamo decidere anche di fare un tratto di strada insieme, ma poi le strade si dividono. Non vorrei certo finire in una situazione nella quale i voti li ha il Pd ma a guidare il governo debba esserci un uomo di Centro non si sa bene per quale diritto naturale”. Ecco che cosa succede quando si evitano gli eufemismi.

Il Fatto Quotidiano, 21 agosto 2012

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