Si tratta di materiali preziosi utilizzati in dispositivi elettronici di ultima generazione come smartphone, tv e pc. L'organizzazione 'The Enough Project' ha stilato la classifica in base a tracciamento, controllo e certificazioni. Le più virtuose sono Intel, HP, SanDisk e Philips. Ultima Nintendo
L’organizzazione no-profit The Enough Project ha stilato una nuova classifica sulle aziende che si sono impegnate maggiormente nella ricerca di materie prime ‘non insanguinate’: primo posto per Intel, seguito da HP, SanDisk e Philips; fanalino di coda invece per Nintendo. Si chiamano conflict minerals e sono una serie di materiali preziosi che vengono utilizzati in larga parte in dispositivi elettronici di ultima generazione come smartphone, tv e personal computer.
A rendere ‘insanguinati’ questi minerali sono però le condizioni in cui vengono raccolti: spesso si tratta infatti di Stati dove non sono rispettate le leggi sul lavoro e si assiste a sfruttamenti, abusi e lotte armate per il controllo dei mercati. “Le principali aziende di elettronica – si legge nel rapporto – stanno facendo progressi nell’eliminazione dei conflict minerals dalle loro catene di approvvigionamento, ma non è ancora possibile definire i loro prodotti completamente privi di questi materiali. La maggior parte delle aziende ha migliorato la sua posizione dalla classifica del 2010, ma alcuni ritardatari continuano ad esserci”. In particolare, prosegue il documento, “quattro aziende leader (Intel, Motorola, HP e Apple) sono state delle vere pioniere in questo campo. Queste imprese si sono subito messe al lavoro per organizzare delle soluzioni nonostante i ritardi legislativi della SEC (Securities and Exchange Commission), una scusa che molte altre aziende hanno usato per giustificare la mancanza di una loro azione significativa in merito”.
A spaventare le società è stata l’ipotesi del danno d’immagine a seguito della campagna di sensibilizzazione della Enough Project. A partire dalla prima ricerca condotta del 2010, l’organizzazione si è battuta su diversi fronti organizzando proteste negli Apple Store statunitensi, sbeffeggiando su YouTube le pubblicità “I am a Mac and I am a Pc”, fino ad arrivare sul New York Times con un editoriale che ha portato definitivamente la questione sotto la luce dei riflettori. A farla da padrona è in modo particolare l’economia del Congo dove si assiste da anni ad una vera e propria guerra civile per il predominio del territorio: secondo le stime gran parte dei finanziamenti per i gruppi armati sarebbero proprio legati a questo tipo di minerali. Per stilare una classifica dettagliata l’organizzazione si è basata essenzialmente su tre criteri principali: tracciamento, controllo e certificazioni. Le compagnie devono determinare con precisione la provenienza di ciascun minerale impiegato nei loro prodotti, devono assicurare che non siano stati estratti da miniere alla base di conflitti locali e che non ci sia in ballo un vero e proprio sistema di ‘pizzo’ per i gruppi armati congolesi; a questo si dovrebbe affiancare un meccanismo di certificazione che favorisca le comunità e le aziende prive di materiali ‘insanguinati’. In questa direzione sono stati importanti gli sforzi di Intel e HP, il cui contributo alla causa è cresciuto in soli due anni rispettivamente del 36% e del 22%.
Intel, in cima alla classifica, è stata la prima azienda ad aver reso pubblico il suo impegno sotto la guida di Brian Krzanich presiedendo la commissione di revisione del programma di controllo e visitando oltre 50 fonderie; HP invece si è impegnata su diversi fronti aiutando il Congo nello sviluppo di un programma per l’eliminazione dei conflitti per il controllo del traffico di minerali, oltre ad aver promesso di utilizzare solamente materiali controllati non appena ci saranno sufficienti fonderie per coprire il fabbisogno dell’azienda. Un po’ per salvare l’immagine della società un po’ (si spera) per i fini nobili della ricerca, molte compagnie hanno iniziato a mettere in campo azioni concrete per frenare l’utilizzo dei “minerali di conflitto”. Altri leader di mercato invece hanno preferito ignorare il problema: Nintendo ad esempio, che occupa l’ultimo posto della classifica, non ha intrapreso alcuna iniziativa per cercare di migliorare la situazione. Nelle ultime posizioni anche altri grandi nomi dell’elettronica come HTC, Nikon, Canon e Sharp che stanno iniziando a muovere i primi passi costretti essenzialmente da obblighi legislativi in materia.
Chi per una questione di immagine, chi obbligato dalla legge: analizzando il rapporto della Enough Project non sembra emergere che la maggior parte delle aziende siano particolarmente interessate alle questioni umanitarie nei paesi legati alla catena di approvvigionamento delle materie prime. A sottolineare questo aspetto ci sarebbero infatti non solo il reperimento dei materiali per la costruzione dei dispositivi, ma anche le continue denunce sulle condizioni lavorative al limite dello sfruttamento a cui sarebbero costretti gli operai dei partner commerciali, responsabili della produzione e confezionamento. Dai numerosi suicidi della Foxconn, responsabile della produzione di numerosi dispositivi Apple, alle denunce di sfruttamento dei partner di Samsung che nel rapporto sui “materiali di conflitto” si posiziona poco lontano dalla zona rossa di bassa classifica.