La vicenda che ha coinvolto prima il Movimento 5 Stelle, poi tutti gli altri partiti, persino il Pd che aveva subito dichiarato che il sistema fosse "immorale", confluisce in un fascicolo conoscitivo in cui confluirebbe un esposto anonimo giunto anche in diverse redazioni giornalistiche
La Procura di Bologna ha aperto un fascicolo sulla vicenda delle comparsate a pagamento sulle televisioni locali di alcuni politici.
L’apertura del fascicolo, a quanto si apprende conoscitivo e affidato al pm Antonella Scandellari, non viene però confermata dalla Procura. Nel fascicolo potrebbe confluire anche un esposto anonimo sulla vicenda arrivato nei giorni scorsi anche alla redazione bolognese di Repubblica.
La vicenda inizia proprio grazie a una serie di articoli del quotidiano diretto da Ezio Mauro: sotto accusa vengono messe delle trasmissioni che il Movimento 5 stelle, nella persona del consigliere regionale Giovanni Favia, avrebbe pagato. Dei contenitori pubblicitari sulla emittente la 7 Gold che però sarebbero state mascherate da vere e proprie trasmissioni di informazione. A quel punto inizia un putiferio, sul quale interviene lo stesso Beppe Grillo che, ai suoi, dice: “Andare in tv a pagamento è come pagare per andare al proprio funerale”. La polemica va avanti diversi giorni, e anche il Movimento 5 stelle si divide. Il Pd diventa il più agguerrito nemico di Favia che giudica il suo comportamento immorale. Lo fa attraverso Matteo Richetti, presidente dell’assemblea in Regioni. Pochi giorni dopo, però, e questa volta è il Fatto Quotidiano a far emergere che anche i consiglieri regionali del Pd pagavano. Non a Bologna, ma in Romagna. Ma il sistema era esattamente lo stesso.
A quel punto sulla vicenda cala il silenzio. La pratica delle comparsate a pagamento, nonostante la Procura oggi voglia vederci meglio, è una consuetudine che si è consolidata negli anni, almeno dal 1976, quando nascono le prime tv private locali, grazie a una sentenza della Corte Suprema che, di fatto, toglie il monopolio alla Rai.