Giornata di scontri in Siria, dove le truppe di Assad hanno messo a ferro e fuoco due quartieri periferici di Damasco. Secondo il Free Syrian Army sono almeno 40 i morti a Kfar Suse, dove 22 carri armati fanno scudo ai soldati che rastrellano le case e uccidono sommariamente gli uomini che trovano, e nel vicino Nahr Eisha. Gli elicotteri, spiegano, “hanno lanciato razzi”. Tra le vittime anche un giornalista siriano, Musaab alAwdallah, sostenitore della rivolta anti-regime. E’ stato ucciso a Nahr Aisha, sobborgo della capitale. Per anni aveva lavorato a un quotidiano governativo.
Il regime di Bashar al-Assad ha però negato quanto dichiarato dagli attivisti anti-regime, braccio armato dell’opposizione costituito per lo più da disertori, secondo cui i ribelli controllerebbero oltre i due terzi di Aleppo. Fonti delle forze di sicurezza, che hanno peraltro preteso di restare riservate, al contrario hanno affermato che nella capitale economica della Siria “stanno arrivando rinforzi da da ambedue le parti”, perché “questa è una guerra destinata a protrarsi a lungo”. La scelta di una fonte anonima per questa dichiarazione sembra tuttavia svuotare la smentita di significato. Tanto più che, specie ad Aleppo, i governativi appaiono ricorrere con sempre maggiore frequenza ai raid aerei e ai bombardamenti da lunga distanza, perché un’avanzata di terra davvero in profondità di per sè rimane una chimera.
Gli attacchi nella capitale sono iniziati nella notte, quando nei quartieri di Damasco si sono sentite forti esplosioni, concentrate verso i quartieri meridionali della città. Secondo fonti locali citate dall’agenzia Ansa, inoltre, l’esercito governativo avrebbe creato una rete di posti di blocco attorno agli ingressi principali nella capitale. Secondo attivisti del Damascus media center, uno degli hub della comunicazione anti-regime, l’artiglieria avrebbe anche ripreso a colpire la capitale, come non accadeva dal 18 luglio. I cannoni sparano dal monte Qasium, quello dove ha posizione la quarta divisione dell’esercito siriano, che domina la città. Le fonti dell’Ansa dicono che questa nuova attività dell’esercito regolare può voler dire solo che “i ribelli sono rientrati a Damasco”, dopo che con una lunga offensiva l’esercito governativo li aveva costretti alla ritirata. Non diversa la situazione ad Aleppo, la “Capitale del nord”, dove continuano i duri combattimenti in corso da oltre un mese.
I ribelli e l’esercito regolare si contendono il controllo di alcune aree della città, soprattutto dei quartieri a ridosso dell’aeroporto. Intanto, l’Agence France Presse ha divulgato una traduzione dei commenti fatti dal vice premier siriano Qadri Jamil al termine dell’incontro di ieri a Mosca con il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov. Jamil, secondo l’Afp, avrebbe detto che “per quello che riguarda le dimissioni del presidente, se queste dimissioni sono una precondizione per il dialogo, allora non ci sarà alcun dialogo. Ma siamo pronti a discutere ogni cosa durante i negoziati, anche questo aspetto”. E’ la prima volta che da esponenti di rilievo del governo del presidente Assad arriva una indicazione, per quanto poco più di uno spiraglio, sulla disponibilità a discutere anche l’uscita di scena di Bashar e non è un caso che questa apertura sia arrivata proprio da Mosca.
Le parole di Jamil arrivano dopo che gli Stati Uniti hanno reso noto che solleveranno la questione delle dimissioni di Assad con Lakhdar Brahimi, il nuovo inviato speciale di Onu e Lega Araba, non appena ci sarà un primo incontro ufficiale. Brahimi, accettando l’incarico che è stato di Kofi Annan, aveva detto in una serie di interviste alla Bbc e alla Reuters che secondo lui la richiesta di dimissioni poteva forse essere prematura. La pressione internazionale, intanto, si fa più forte. Dopo Usa, Gran Bretagna e Germania, anche la Francia ammette ufficialmente di aver fornito e continuare a fornire appoggio “non letale” ai combattenti del Fsa. Lo ha detto in una intervista radiofonica il primo ministro francese Jean-Marc Ayrault, specificando che “a livello militare abbiamo risposto a una richiesta del Consiglio nazionale siriano per fornire appoggio nelle comunicazioni e mezzi di protezione”. Ayrault ha però precisato anche che la Francia non ha alcuna intenzione di appoggiare un intervento in Siria, senza l’avallo dell’Onu: “Abbiamo visto cosa è successo in Iraq – ha detto il primo ministro francese – George W. Bush ha voluto andare in guerra da solo e alla fine si è dimostrato che avevamo ragione noi”.
I ribelli però, ricevono anche aiuti di altro tipo. Secondo la stampa russa, tra l’11 e il 13 agosto sarebbe morto in Siria Rustam Gelayev, 24enne figlio primogenito del comandante ceceno Ruslam. Il giovane era andato in Siria per unirsi ai combattenti anti-Assad e il suo corpo sarebbe già stato portato in Cecenia per la sepoltura. Si aggrava anche la situazione in Libano, a Tripoli, dove da due giorni ci sono scontri armati tra i sunniti del quartiere di Bab al-Tabbaneh e gli alawiti di Jebel Mohsen. Anche stamattina, secondo fonti locali, ci sono state sparatorie come quelle che nei giorni scorsi hanno causato una sessantina di feriti e almeno due morti. Il bilancio, secondo le ultime notizie, è arrivato a una decina di morti e stamattina per le vie di Bab al-Tabbaneh si potevano vedere gruppi di estremisti sunniti armati diretti verso il vicino quartiere alawita. L’esercito libanese sta cercando di riportare la calma, ma il rischio che la situazione sfugga del tutto di mano è molto forte. I sunniti locali accusano gli alawiti di appoggiare il regime di Assad, ma è soprattutto lungo i forti canali di legami familiari tra i due lati del confine che il conflitto siriano rischia di espandersi al Paese dei Cedri, con implicazioni difficili da prevedere su tutto il Medio Oriente.
di Joseph Zarlingo