Appena tornato dal mio soggiorno a Istanbul. Non riesco a dormire. Caldo, umidità, zanzare. Alle sei del mattino mi arrendo, mi vesto e vado a camminare. Le transenne davanti alle abitazioni, messe dopo il terremoto di fine maggio, sono tutte al loro posto, la torre del Castello è impalcata, con termine dei lavori previsto per il 2070, anniversario della presa di Ferrara del 1270 a opera di Azzo VII d’Este. In diverse strade del centro, soprattutto nella zona fra Boccacanale di Santo Stefano e Via Ripagrande, anche i cumuli di cocci rotti resistono, opere avanguardiste di una città che se ne frega di ricostruire.
La luce del mattino mette serenità, non così i cartelli “Affittasi” appesi alle porte di un negozio su due, da via Garibaldi a via San Romano. Alle finestre della case si susseguono i “Vendesi”. Mi chiedo chi possa essere così folle da comprare casa a Ferrara. Questa città non sta morendo, è già morta. Ai forestieri sembra di essere approdati in paradiso, tutti in bicicletta, tanto verde pubblico, il Festival di Internazionale, quello dei Buskers, i concerti, le mostre di Palazzo Diamanti. Anche io se venissi da fuori ci farei la firma.
E quindi non diciamoglielo ai turisti che esiste un Petrolchimico a pochi passi dalla città, dei tumori troppo frequenti, della disoccupazione galoppante, del Darsena City sull’orlo del fallimento, dei giovani uomini che si suicidano travolti dalla noia, dei centri commerciali che spuntano come funghi e uccidono il centro cittadino, del terremoto che ha fermato ancora di più, se possibile, l’immobilismo.
Non ricordiamogli Federico Aldrovandi, massacrato da quattro poliziotti, non spieghiamogli, no, che da queste parti l’unico passatempo dei giovani è l’aperitivo, meglio se il mercoledì sera, per parlare di nulla perché tanto le “belle iniziative culturali” organizzate da questa giunta di illuminati mica sono per i giovani, gli studenti. No, quelli facciamoli rimbecillire a suon di spritz e i soldi spendiamoli per concerti di super nicchia. Facciamo diventare la tessera ARCI più importante del sangue, unica identità, unica religione, l’iscrizione magica che ti apre le porte a tutti i locali della città. Ho avuto il grande piacere di presentare i miei libri in tanti locali ARCI d’Italia ed erano quello che devono essere gli ARCI: circoli di promozione sociale (e culturale). Da queste parti, in questa città deserta e calda, invece sono il business: vuoi fare l’imprenditore? Apri un circolo ARCI, e spennali tutti. La cultura? Ma lascia perdere, metti gli spritz a tre euro e attacca la musica (hip hop, possibilmente).
Cammino e impreco: com’è possibile che siamo riusciti a trasformare in un luogo così umanamente mediocre una località così bella? Corso Giovecca al mattino è magnifica, nel suo decadentismo lo è anche la facciata del vecchio ospedale Sant’Anna, adesso deserto, perché per seguire l’aroma del denaro e della stupidità la struttura è stata trasferita nel nuovissimo ed efficentissimo ospedale di Cona, fuori città, con i mezzi pubblici cari come l’oro per arrivarci, il terreno che sprofonda, una strada d’emergenza per le ambulanze che non esiste (molto meglio lo slalom su una via tutta curve, platani, buche e traffico), la metropolitana di superficie che forse sarà pronta quando verrà tolta l’imbragatura alla torre del Castello: nel 2070. E poi, qual’è la logica di lasciare 135.000 abitanti senza un Pronto Soccorso (almeno quello) raggiungibile in breve tempo?
Ferrara intanto si sveglia. Faccio colazione in un bar gestito da una famiglia di cinesi. Proseguo a zonzo, cerco i viali alberati. Davanti mi ritrovo lo stadio. Ennesima disgrazia: la Spal fallita, morta, con la città. Ma adesso c’è Real Spal, avanti tutta, si riparte dai dilettanti, con un nome che fa presagire uno spettacolo di pagliacci e ballerine prima di ogni incontro casalingo. “Real”… questa gente ci prende in giro e noi zitti, camminiamo, barcolliamo alla soglia del sogno infranto dell’Emilia Rossa, che qui non c’è mai stata, probabilmente. Ferrara, terra chiusa e rancorosa, governata da piccoli uomini che solo le casualità della storia hanno fatto dei loro genitori, nonni, parenti dei tesserati del PCI.
Torno verso casa, perché sono troppo sconsolato. Forse sarà perché prima di imboccare la trafficata (?) via Bologna leggo le prime pagine dei giornali cittadini. Gran risalto, come sempre, agli incidenti stradali (guarda caso un paio proprio sulla via del nuovo ospedale) e all’esasperazione degli abitanti di zona stazione che, un po’ patologicamente, lamentano la delinquenza di matrice straniera e invocano il pugno duro delle forze dell’ordine. Mai che si ricordino di un ragazzo di diciotto anni ucciso da quattro teppisti in divisa.
Arrivo a casa, mi stendo sul letto e guardo le crepe sul soffitto. La prossima volta che esco mi faccio ordinare del Trazodone dal medico.