Incontro con i giornalisti internazionali a Roma. Padellaro: "Facciamo solo il nostro mestiere". Travaglio: "L'inchiesta non è archeologia, i politici coinvolti sono ancora al potere". Il pm Teresi denuncia azioni "inquietanti" contro magistrati e organismi investigativi. La questione intercettazioni e i timori di Napolitano sui colloqui con Mancino
Non è bastato il caldo agostano né il periodo di ferie per scoraggiare i giornalisti stranieri che, ieri pomeriggio, hanno riempito la saletta della Stampa estera di via dell’Umiltà, a Roma, per assistere alla conferenza stampa del Fatto Quotidiano. Il Telegraph, France 24, l’Observer. Colleghi danesi, tedeschi, persino Josephine McKenna, giornalista australiana, tutti incuriositi “dall’oscuro partito formato dal Fatto, Idv e Grillo che – accusano alcuni – vuole rovesciare il governo e forse addirittura far dimettere il capo dello Stato”. “La realtà – sorride il direttore del Fatto Antonio Padellaro, mentre annuncia che le firme raccolte a sostegno dei magistrati sfiorano quota 130 mila– è molto meno suggestiva di così: stiamo solo facendo il nostro mestiere”. Raccolta firme a cui, tra gli altri, hanno aderito anche Fabio Granata e Angela Napoli, rappresentanti di Fli in Commissione parlamentare antimafia, chiedendo al governo di costituirsi parte civile nel processo sulla trattativa Stato-Mafia”.
Basta un’ora perché il procuratore aggiunto della Dda di Palermo Vittorio Teresi, Padellaro e il vicedirettore Marco Travaglio mettano in ordine i fatti: i 12 nuovi indagati nella trattativa tra Stato e mafia (guarda il video del Fatto “Vent’anni di trattativa”); le telefonate intercettate tra l’ex vicepresidente del Csm Nicola Mancino, il consigliere, recentemente scomparso, del Quirinale Loris D’Ambrosio e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; la decisione del Colle di sollevare il conflitto di attribuzione per paura che il contenuto di quelle telefonate diventasse di dominio pubblico e la questione sempreverde della stampa italiana che, come dice Padellaro, “depista, essendo troppo distratta o addirittura connivente”.
Faccenda, questa, spiegata nitidamente da Teresi, che si appella alla stampa estera perché “colmi i vuoti drammatici dei colleghi italiani”. “Il fatto fondamentale – secondo il pm palermitano – è che “si sta raccontando di una guerra tra il Colle e la Procura di Palermo che, in realtà, non esiste. Il motivo è semplice: il conflitto di attribuzioni sollevato dal Quirinale non interferisce in alcun modo con le indagini. L’inchiesta condotta dalla Procura di Palermo, infatti, è solida. E non potendo attaccarla nei contenuti, stanno cercando di indebolirne la forza con una pesante campagna farcita di attacchi politici”.
Così, senza mezze parole, Teresi conferma la lettura di Padellaro, secondo cui la procura siciliana è “isolata” e “accerchiata”, ed elenca uno per uno tutti gli atti “tesi a minare la serenità dei magistrati di Palermo”. A partire dalle iniziative contro i singoli magistrati, come il procedimento avviato dal Csm nei confronti di Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la corte d’Appello della procura di Caltanissetta. La sua colpa? “Aver letto una lettera, simbolicamente indirizzata a Paolo Borsellino, durante l’anniversario della strage di via d’Amelio. Certo, non mancavano critiche al potere politico e a quella parte della classe dirigente connivente e infiltrata dalla mafia: un intervento applaudito da centinaia di persone, sulle orme di accuse già sollevate da molti altri magistrati in passato. Ma quest’anno, per la prima volta, è scattato il procedimento per incompatibilità ambientale”.
MAGISTRATI NEL MIRINO. Oppure l’iniziativa, firmata dal Pg della Cassazione, contro il capo della Dda di Palermo Francesco Messineo e il collega Nino di Matteo, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo, nel mirino per un’intervista rilasciata a Repubblica in cui Di Matteo confermava l’esistenza delle intercettazioni telefoniche che coinvolgono il Colle, notizia per altro già pubblicata qualche giorno prima dal settimanale Panorama. “Nino si è limitato a rispondere alla domanda di una giornalista, dicendo che negli atti depositati non c’è traccia di queste telefonate, e che le intercettazioni, se esistenti, verranno trattate secondo la legge. Ora il collega viene accusato di aver rivelato notizie alla stampa senza chiedere il permesso del suo capo, Messineo, come prevede la procedura. Ma essendo la storia già stata pubblicata da Panorama, il problema non si pone”.
C’è un filo rosso che unisce le azioni intraprese contro i magistrati Scarpinato e Di Matteo: “Entrambi – spiega Teresi – sono in corsa per il posto di procuratore generale a Palermo, che è il massimo vertice della magistratura a cui possono aspirare in Sicilia. In un colpo solo, così, hanno azzerato tutte e due le candidature . Non sono casuali neanche le pressioni su Di Matteo, che sta terminando il processo, già molto teso, sulla mancata cattura di Bernardo Provenzano da parte del generale Mario Mori, processo che costituisce la premessa logica a quello sulla trattativa tra Stato e mafia”. La stampa, in sostanza – sostengono il pm e il Fatto Quotidiano – sta spostando l’attenzione dalla gravità di queste inchieste alle presunte lesioni delle prerogative del Quirinale da parte della Procura di Palermo. E, per rispondere a Francoise Kadri di France Press che domanda se c’è un complotto, Travaglio ripesca i quotidiani usciti quest’estate: “Ci sono, in molti giornali, bravissimi cronisti che, nei loro pezzi, hanno raccontato i fatti. Ma dalla metà di giugno in poi, quando questa storia è diventata centrale, agli articoli di cronaca venivano affiancati commenti scritti da gente che diceva l’esatto opposto, o perché non sapeva, o perché preferiva non sapere”.
Non è tutto, aggiunge Teresi. Di iniziative “inquietanti e sospette, perché esagerate, ce ne sono altre: noi facciamo le inchieste grazie alla Dia, ai Carabinieri e alla Polizia: sono loro che trovano le prove per ottenere le condanne. Questi vertici investigativi ora stanno per essere azzerati, disarmati, con le risorse economiche tagliate e i migliori uomini trasferiti. Noi leggiamo questa somma di fatti come non casuali, inquietanti e francamente pericolosi”. Fatti che hanno, dice Travaglio, un mandate (la politica) e un obiettivo (fermare le indagini sulla trattativa Stato-mafia). Ancora più tranchant Padellaro: “In Italia ci sono le tre mafie globalmente più potenti e liquide, ’ndrangheta, Camorra e Cosa Nostra. Medaglia d’oro, d’argento e di bronzo. Come mai, di fronte alla potenza economica senza pari al mondo che ha questo potere criminale, che infatti tiene in mano mezzo Paese, quando i magistrati tentano di perseguire i reati, la politica – invece di aiutarli – li combatte, li indebolisce e costringe pm come Antonio Ingroia a emigrare in Guatemala?”. “Bisogna anche smetterla di parlare di ‘presunta’ trattativa – aggiunge Travaglio – visto che non solo è confermata da sentenze definitive, ma soprattutto si sa che è cominciata nella primavera del 1992, subito dopo Capaci, e non si sa se sia mai finita”.
E anche se la faccenda dura da vent’anni, la novità c’è e risale a giugno: quella di 12 persone imputate nell’ambito della trattativa. “Il reato – spiega Travaglio – non è trattare con Cosa Nostra, scelta comunque alquanto discutibile. Ma è quello di aver costretto lo Stato a trattare con la mafia, dopo che Cosa Nostra ha compiuto le stragi proprio per forzare, per estorcere la trattativa. L’imputazione è quella di ‘violenza o minaccia a organi dello Stato’ e tra i rinviati a giudizio per questo reato ci sono la cupola mafiosa (Provenzano, Riina, Bagarella e Brusca) con i suoi postini (Cinà e Ciancimino jr), e cinque uomini dello Stato, tra cui tre alti ufficiali del Ros (Mori, De Donno e Subranni ), l’ex ministro Mannino e il co-fondatore di Forza Italia Dell’Utri. Poi c’è Nicola Mancino, che in questo stesso processo è imputato per falsa testimonianza, accusato di aver mentito proprio durante il processo al generale Mori. Ecco, questa notizia è stata abilmente scalzata dalla falsa notizia secondo cui Napolitano sarebbe stato intercettato”.
INTERCETTATO È MANCINO. Silenzio in sala, con sguardi perplessi di chi si chiede se, alla fine, il capo dello Stato sia stato effettivamente intercettato oppure no, come hanno scritto molti quotidiani italiani. Chiarisce Teresi: “Solo il telefono di Mancino era sotto controllo. È chiaro che se lo chiama Napolitano viene ascoltato pure lui”. “È stato dunque il presidente ad alzare la cornetta?”, domandano in coro alcuni giornalisti francesi. “Non posso dirlo”, si schermisce Teresi. “Non possiamo saperlo – spiega Travaglio – ma se chiami uno che ha il telefono sotto controllo finisci nell’intercettazione anche tu. Senza contare che, mentre la legge tutela deputati e senatori, che non possono essere intercettati, non dice che il capo dello Stato non possa essere intercettato. Nulla di esplicito. E il telefono, tra il 1946 e il 1948,c’era già, segno che i padri costituenti hanno lasciato apposta un’area grigia. Comunque sia, i pm hanno specificato immediatamente che queste intercettazioni non sono rilevanti per l’inchiesta”.
Qual è dunque il problema? “Che gli avvocati dei 12 imputati hanno il diritto di ascoltare quelle telefonate perché, anche se ai pm non interessano, potrebbero servire ai legali per scagionare i loro clienti. E una volta che le ascoltano, nulla impedisce loro di raccontarne il contenuto ai giornalisti: è questo che terrorizza Napolitano”. C’è un aspetto anche più profondo di cui parla Padellaro: “Stamattina (ieri, ndr), il Fatto ha pubblicato una bellissima lettera di Vittorio Occorsio, nipote del giudice ammazzato dai terroristi. Nel ringraziare Napolitano per tutto quello che ha fatto finora a salvaguardia della memoria storica, Occorsio si chiede: ‘Perché non chiudere, ora, la pagina dei misteri diffondendo quelle telefonate?’. Noi rilanciamo l’appello, sapendo benissimo che cadrà nel vuoto: il Colle sostiene che non ci sia nulla di compromettente in quelle telefonate, e anche i pm le ritengono ininfluenti. Perché il presidente non ne chiede la pubblicazione?”.
La domanda che domina nella stanza però la pone il presidente della Stampa estera (e moderatore dell’incontro) Tobias Piller: “In un Paese con le istituzioni così deboli come l’Italia, vale davvero la pena di prendersela con Napolitano?”. Risponde Padellaro: “Non solo, in quanto giornalisti, abbiamo il dovere di raccontare i fatti. Ma, grattando la superficie, la parola chiave che emerge è una: intercettazioni. Si tratta di uno strumento fondamentale senza il quale le indagini non si possono fare, e sollevando il conflitto di attribuzioni, il presidente Napolitano ha ridato fiato a chi le vuole eliminare. Tant’è che anche il premier Mario Monti ha sollevato la questione proprio in seguito alle azioni di Napolitano”.
“Tutto bene, ma non si tratta comunque di archeologia?” si chiede un cronista danese, uno dei pochi scettici rimasti in sala. “Se si tratta di archeologia, perché il presidente Napolitano reagisce così?”. E poi “la classe politica – aggiunge Travaglio– è la stessa da vent’anni. Chi era invischiato allora, in certi casi è ancora al potere. La seconda Repubblica sta finendo, che strada prenderemo ora? E che ruolo giocherà la mafia in vista delle prossime elezioni?”.
da Il Fatto Quotidiano del 23 agosto 2012
aggiornato da Redazione web alle ore 16