“A Monti chiedo un cambio di passo. E’ ora di riscrivere l’agenda, è il momento di rompere l’avvitamento tra austerità e recessione, di aprire gli occhi”, di “sostenere l’economia reale” e di “battere i pugni in Europa sui piani antispread’’. Così il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che in un’intervista a Repubblica definisce l’esecutivo tecnico “una parentesi non ripetibile” e sottolinea che il suo partito “è pronto per governare”.
Monti e l’uscita dalla crisi. Poi una chiara risposta al presidente del Consiglio Mario Monti che al meeting di Comunione e Liberazione aveva parlato di “avvicinamento all’uscita dalla crisi”. “Credo nella possibilità di uno spiraglio” per uscire dalla crisi, sostiene Bersani, “ma ancora non lo vedo e ho l’impressione che il governo finora non abbia percepito lo scivolamento dell’economia reale”. Secondo il segretario democratico “ci sono cose che il governo può fare subito: rafforzi gli sgravi fiscali sulle ristrutturazioni immobiliari in funzione antisismica e ambientale; adotti misure di sburocratizzazione eliminando passaggi burocratici o esternalizzandoli; finanzi l’innovazione coi crediti d’imposta sulla ricerca e la defiscalizzazione degli investimenti; introduca una vera Dual Income Tax”. Sul caro carburanti, “sento parlare di una defiscalizzazione dell’Iva sulle infrastrutture, praticamente senza copertura. Bene, ma perchè da mesi si dice no alla sterilizzazione dell’Iva sulle accise per la benzina?”, dichiara il segretario del Pd, che per alleggerire l’Imu torna a proporre “un’imposta sui grandi patrimoni immobiliari” e chiede il “rafforzamento della tracciabilità dei capitali”.
Napolitano? “Si può criticare, ma con rispetto”. Bersani interviene anche sul conflitto sollevato dal presidente Napolitano, che “si può criticare ma deve essere rispettato”, e si mostra disponibile a discutere di una nuova legge sulle intercettazioni ma, precisa, “la condizione è che ci sia un pacchetto complessivo di riforma della giustizia, con al primo posto le nuove norme contro la corruzione”.
Le elezioni anticipate. Bersani non auspica né vede all’orizzonte elezioni anticipate, ma esclude anche un governo tecnico. “Il limite della soluzione tecnica non sta nel governo Monti, che pure ha fatto un gran lavoro, ma nella mancanza di univocità’ di una maggioranza che ha opinioni diverse”, spiega. “In un Paese maturo si fronteggiano un centrodestra, un centrosinistra ed eventualmente una posizione centrale. Chi vince, governa. Questo significa che non si può andare al voto proponendo una Grande Coalizione”.
In merito ai timori sul dopo Monti, “se in Italia passasse l’idea che la politica non è in grado di tirarci fuori dalla crisi, noi ci porremmo al margine delle democrazie del mondo”, sostiene Bersani. “Se a Bruxelles o sui mercati si ha paura per la tenuta del rigore in Italia, voglio credere che ci si riferisca a un rischio Berlusconi o a un pericolo populista, non al centrosinistra. Noi abbiamo fatto l’euro”.
La legge elettorale alla “greca”. E poi la legge elettorale, quella riforma “alla greca” di cui ormai si parla da alcuni giorni e che sarebbe la piattaforma per un accordo tra Pd e Pdl, dopo mesi di trattative inconcludenti, conannunci dati e poi smentiti come ieri. Bersani si dice “disposto a chiudere in fretta”, ma a due condizioni: “Un premio di maggioranza ragionevole”, il 15%, e “una quota significativa di collegi uninominali per ricreare un legame tra elettori ed eletti”. Dunque un restyling del Porcellum con un premio per assicurare qualche margine d’azione al governo nascente senza patemi d’animo e, dall’altra parte, un maggiore numero di collegi, in modo da spazzare via le liste bloccate dei “nominati”. I paletti fissati da Bersani sono due. Il primo: “La sera in cui si chiudono le urne il mondo deve sapere chi governa, altrimenti ci travolge uno tsunami”. Secondo: “I cittadini devono scegliere chi mandare in Parlamento”.
Le alleanze. Parlando di alleanze, il segretario del Pd spiega che “entro ottobre saranno pronti 10-15 punti di programma”, sulla cui base “il centrosinistra proporrà un’alleanza di legislatura alle forze liberali e moderate”, spiega Bersani. “Dentro questo perimetro non ci sono solo Vendola e Casini, ma ad esempio anche i socialisti”, mentre Di Pietro “è evidente che vuole star fuori”. Per le primarie “in autunno vareremo una carta di intenti, e tra novembre e dicembre faremo le primarie di coalizione, con la massima apertura alle forze politiche e alla società civile”.
L’accordo c’è, no, forse. L’ottimismo di Bersani, però, fa a pugni con la babele di opinioni che sulla riforma elettorale ha contraddistinto anche la giornata di oggi. Per il coordinatore del Pdl Ignazio La Russa l’accordo non c’è e “non si sono superate le solite divergenze”. Risponde Enrico Letta che sostiene che “chi in questo momento fa distinguo vuole tenersi il Porcellum”. Una chiave di interpretazione la dà il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione: “E’ stato raggiunto, sostanzialmente, ma nessuno vuole assumersi la responsabilità davanti all’opinione pubblica. Perchè fa fatica a passare l’idea che c’è un clima di concordia, abituati alla guerra dell’uno contro l’altro”. “Io so che nessun passo avanti è stato fatto” spegne gli entusiasmi il capogruppo della Lega alla Camera Gianpaolo Dozzo. Maurizio Lupi giura: “”La volontà di cambiare questa legge elettorale è forte e vogliamo dare un segnale forte. La legge vecchia non può più rimanere ma i cittadini devono poter scegliere i loro rappresentanti”. Vannino Chiti (Pd) insiste: l’accordo c’è “a condizione che non si ripeta quanto già avvenuto al Senato quando il Pdl cambiò idea all’ultimo e, grazie a un patto con la Lega, fece franare tutto”. E quindi non ci resta che ridere: “Sulla riforma della legge elettorale – sintetizza Raffaele Lauro (Pdl) – Sì alle preferenze, no alle preferenze, l’accordo c’è, l’accordo non c’è. Ultima: l’accordo c’è, ma non si dice! Gli asili infantili non sono chiusi ad agosto?”.