Dietro le quinte dei birrifici italiani si lavora a pieno ritmo alla sperimentazione di nuove birre artigianali senza glutine. Persino quelle derivate dal malto d’orzo, dopo che la proteina bandita dalla dieta dei celiaci ne è stata opportunamente estratta. Il nostro articolo in cui si parlava soprattutto della birra gluten-free derivata dal riso ha generato un certo dibattito: torniamo allora sull’argomento per addentrarci stavolta anche nei laboratori in cui, per produrre le nostre bionde (ma anche le birre ambrate o le loro varianti scure), si utilizza il malto d’orzo. «Sul mercato a breve sarà lanciata un’ulteriore novità del settore, ma senza presentarla al grande pubblico come una birra “diversa” dalle altre. Perché è tempo di allontanarci dall’epoca in cui qualsiasi alimento o bevanda senza glutine è ancora concepito come un prodotto farmaceutico». L’affermazione di Alfonso Del Forno, presidente dell’”Associazione Degustatori Birra Senza Glutine” invita a saperne qualcosa in più.
Vuole svelarci il nome del birrificio che sta sperimentando la nuova ricetta?
«Si tratta di una delle realtà più importanti nel nostro Paese, la “Birra del borgo” di Leonardo di Vincenzo (Rieti). Ancora qualche mese e potremo acquistarla. Io personalmente attendo con ansia il momento in cui potrò degustarla».
Quali saranno gli ingredienti fondamentali di questa birra?
«Miglio, castagne, riso, tutte materie prime in cui non c’è presenza di glutine. Per finire con il luppolo e le spezie, e garantire anche in questo caso il carattere che contraddistingue tutti gli altri prodotti del birrificio. Sarà una Golden Ale, 4,5 gradi circa, con un ceppo di lievito belga che le donerà un profumo ricco e intenso».
Una nuova entrata che si inserisce in un panorama in continua evoluzione: quali sono gli altri protagonisti del mercato italiano?
«Attualmente si parla di due nomi in particolare, legati alla produzione di birra senza glutine non da cereali che ne sono privi, ma dal malto d’orzo, dal quale il glutine viene estratto per mezzo di metodi fisici. Sono “I Due Mastri” di Prato e “Il Birrino”, a Brugherio».
In pratica la base di partenza è uguale a quella delle birre tradizionali…
«Esatto. La materia prima è la stessa che usano gli altri birrifici. Il risultato, è intuibile, è un gusto molto simile a quello che conosciamo già: questo avvicina molto le differenti tipologie di birra. Quella senza glutine prodotta da “I due mastri” si chiama “Celia” e viene commercializzata dal marchio Interbrau, leader italiano nel mercato delle “Special Beers”».
“Il Birrino” brianzolo invece in cosa è specializzato?
«A Brugherio vengono prodotte tre birre, molto diverse fra loro, che si adattano facilmente ai vari contesti della giornata di una persona intollerante al glutine. Una è la “Briantea Wiener”, ambrata, con un buon corpo e una bella schiuma compatta, dalla gradazione alcolica del 4,8%. La seconda è la “Light Grano Saraceno”: qui l’alcool si ferma al 3,1% e l’apporto energetico è inferiore alle 20 calorie per 100 ml. Infine c’è la “Zero virgola”, che oltre ad essere gluten-free è quasi analcolica (0,9%), dolce, bevibile e dalla schiuma fine. Si tratta fra l’altro di birre biologiche, una caratteristica della produzione del “Birrino”».
E se guardiamo oltreconfine su cosa ci conviene puntare l’attenzione?
«Dal mondo anglosassone proviene la prima birra fatta col malto di sorgo, la “St. Peter’s”. Per restare in tema di malto d’orzo, invece, sempre inglese ma prodotta in uno stabilimento belga è la birra a marchio “Green’s”, che fra l’altro in Italia è la più presente in fatto di birre senza glutine, con ben cinque diverse tipologie».
Ci pare di capire che di gluten-free sentiremo parlare sempre più spesso, e non solo per i cibi…
«Ne sono certo. Oggi è sempre più diffusa l’attenzione a ciò che mangiamo e a ciò che beviamo, indipendentemente dal discorso della celiachia. Si parla tanto di qualità, e in quanto a questo i prodotti senza glutine sono una sicurezza. Una dieta senza glutine apporta benefici a tutti, non solo ai celiaci. Purtroppo siamo ancora troppo legati al marchio della spiga barrata».
Unica nota doverosa: occhio alla convenienza per le tasche, che non sempre – ahinoi – si affianca alla qualità. Del resto, un prodotto biologico e artigianale è destinato a non essere competitivo in fatto di prezzo. C’è da dire, però, che la birra “Celia” è apparsa da qualche tempo anche nella grande distribuzione, con un costo abbastanza abbordabile.
di Irene Privitera