Lance Armstrong si è arreso. Dopo quasi vent’anni vissuti tra vittorie straordinarie (un oro mondiale nel ’93, poi sette Tour de France consecutivi tra il ’99 e il 2008) e sospetti di doping, Armstrong ha detto basta, schiacciato dal peso del dubbio (o delle prove?): non contrasterà più le accuse che l’Usada (l’Agenzia antidoping degli Usa) continua a rivolgergli. Niente più ricorsi, niente più difesa: che la giustizia faccia pure il suo corso. Lui è innocente ma stanco. La decisione arriva all’indomani del pronunciamento del tribunale del Texas, che ha respinto l’istanza con cui Armstrong chiedeva di bloccare le indagini dell’Usada, ritenendole anzi fondate e invitando l’Agenzia a proseguire nel suo lavoro.
Un lavoro che, data la gravità dei fatti contestati, va verso un’unica direzione possibile: la radiazione a vita e la revoca di tutti i titoli vinti. Perché qui si parla di doping sistematico. Nel corso degli anni Armstrong ha dovuto fronteggiare più di un’accusa. Nel 2003, ad esempio, il nostro Filippo Simeoni aveva confessato di aver assunto sostanze proibite dal suo medico Michele Ferrari, lo stesso di Armstrong (che si era vendicato pubblicamente di Simeoni, impendendogli di andare in fuga nell’edizione successiva del Tour de France). Poi nel 2004 era uscito il libro di David Walsh e Pierre Ballester (giornalisti del Sunday Times e dell’Equipe), “L.A. Confidentials: i segreti di Lance Armstrong”, in cui veniva rivelato che il texano sarebbe risultato positivo ad un controllo antidoping al Tour del ’99.
Tutte accuse cadute nel vuoto: nessuna prova. Anche perché mentre i suoi ex compagni incappavano uno dopo l’altro nella rete dell’antidoping (da Tyler Hamilton, oro olimpico nel 2004, a Floyd Landis, vincitore del Tour 2006; tutti titoli poi revocati), lui nel corso della sua ventennale carriera non ha mai fallito un controllo. Almeno ufficialmente. C’è l’indiscrezione del Tour del ’99, c’è la rivelazione dello stesso Hamilton secondo cui l’Uci avrebbe contribuito ad insabbiare una positività al Giro di Svizzera del 2001. Ma erano solo parole.
Adesso si passa ai fatti. L’Usada afferma di essere in possesso di campioni di sangue, prelevati al corridore texano tra il 2009 e il 2010, “perfettamente compatibili con manipolazioni sanguigne, incluso l’uso di Epo, testosterone e corticosteroidi e di auto-emo trasfusioni”. E vuole andare fino in fondo. Mentre Armstrong non ce la fa più, a vivere braccato come un criminale. “Arriva un momento nella vita di un uomo in cui bisogna dire ‘Quando è troppo, è troppo’. Per me, questo momento è adesso”, scrive sul suo sito ufficiale. Una lunga nota, in cui si parla di accuse infondate, di ragioni personali alla base di questa inquisizione, di processi a senso unico e già decisi, di un sistema malato e che non funziona.
Per tutto questo lui rinuncia a difendersi. “Oggi volto pagina – conclude -, voglio dedicarmi al lavoro che avevo cominciato prima di vincere il mio primo Tour: aiutare la gente e le famiglie malate di cancro, specie quelle delle comunità meno abbienti”. E per il resto, sia quel che sia. Non è una confessione, tutt’altro: formalmente lui continua a professarsi innocente. Ma nei fatti è come se lo fosse: la rinuncia alla difesa è un segno di debolezza pesante. Così l’ha interpretato almeno John Faley, il presidente della Wada (l’agenzia mondiale antidoping): “Se Armstrong rinuncia a difendersi significa che le accuse hanno un fondamento”.
Ora si attendono le sentenze. E le sanzioni. La radiazione non spaventa un ciclista di 41 anni, che è ormai quasi un ex. Ma la revoca dei titoli sarebbe un colpo mortale, e non solo per Armstrong. Lui dice: “Io so chi ha vinto quei sette Tour de France, nessuno può cambiarlo”. Ma se davvero l’Usada dovesse riscrivere l’Albo d’oro della Grande Boucle, sarebbe come cancellare dieci anni di storia dello sport: distruggere il mito del grande eroe in grado di sconfiggere il cancro e la forza di gravità delle montagne; dire a milioni di tifosi che era tutto falso. L’ennesimo inganno, l’ennesima delusione per uno sport che ha sofferto tanto negli ultimi anni. Comunque vada, oggi è un giorno triste per il mondo del ciclismo.