In Puglia i soci di un esclusivo club nautico protestano, e arrivano persino a raccogliere firme, per la presenza della scorta armata di un noto imprenditore antiracket (Vincenzo Conticello), salvo poi fare un passo indietro.

La vicenda dimostra come il tritacarne mediatico riservato alle persone sotto scorta riesca evidentemente a far perdere lucidità. Non si distingue più tra chi è sottoposto a tutela per i rischi scaturiti da attività antimafia e chi, invece, lo è con motivazioni certamente discutibili. Tra le personalità costrette a vivere una vita blindata e quelle che utilizzano la scorta armata per “apparire” (e quello sì, è uno spreco di risorse umane ed economiche), invece, c’è una gran differenza.

Infine ci sono imprenditori mafiosi, emissari dei più alti livelli delle mafie, falsi testimoni di giustizia e falsi pentiti accompagnati da poliziotti penosamente costretti a proteggerli nonostante non corrano alcun pericolo e, anzi, rappresentino un grave rischio per la collettività. Ecco, pur senza voler polemizzare, viene da chiedersi perché, in quei numerosi (e scandalosi) casi non scoppi nessuna “rivolta”. Soprattutto perché, a giudicare dalla vicenda che ha coinvolto Conticello (e se ne potrebbero raccontare altre), a rappresentare un rischio per i soci del club nautico sarebbero stati gli uomini armati della scorta. Insomma, in questo Paese c’è chi teme l’antimafia più che la mafia.

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