Dopo la morte di una giornalista giapponese e di un reporter turco ad Aleppo c’è preoccupazione per un giornalista indipendente americano che risulta disperso da oltre una settimana in Siria. La notizia è stata diffusa dal Washington Post ed il gruppo di stampa McClatchy, per i quali il reporter lavora. Da più di sette giorni i contatti con Austin Tice, fotoreporter di 31 anni impegnato sulla copertura giornalistica della ribellione siriana contro il regime di Damasco. Ex soldato della Marina americana dispiegato in Afghanistan ed Iraq, Tice è arrivato in Siria dalla Turchia a maggio. Dopo aver viaggiato insieme a combattenti ribelli, si è diretto ad agosto verso Damasco. Dopodiché i suoi datori di lavoro, come i suoi familiari, non hanno più ricevuto sue notizie.
Ieri per la Siria è stata un’altra giornata di sangue. I morti, non verificabili in maniera indipendente, diffusi degli attivisti, parlano di 103 uccisi, per lo più civili, e quasi la metà nella zona di Damasco. Gli attivisti citano residenti e testimoni oculari e sostengono le loro affermazioni con video amatoriali, foto, liste dettagliate di nomi e cognomi di gente uccisa. La piattaforma di attivisti Shaam.org riferisce di 44 uccisi nella regione di Damasco, per lo più uccisi subito dopo l’alba: si tratta di civili finiti nelle loro case o negli orti mentre erano in fuga dai raid a Daraya, Muaddamiya, Hajar Aswad, Kfar Suse, Tadamun, Jawbar. Tra loro ci sono donne e bambini. Sedici uccisi ad Aleppo. Tredici morti nella regione di Daraa, tra questi almeno tre donne. A Dayr az Zor nell’est undici uccisi, a Homs otto, a Idlib sei, di cui due donne, e a Hama cinque.
Secondo i militari disertori dell’Esercito libero (Esl), l’offensiva lanciata lunedì scorso dal regime nella parte sud di Damasco mira a tagliare le linee dei ribelli tra la città e il suo entroterra, per evitare che l’Esl possa fare quel che ha fatto a fine luglio ad Aleppo: coalizzarsi attorno alla città e poi attaccare in massa il centro urbano. Ad Aleppo l’aviazione ha bombardato di nuovo le roccaforti dei ribelli, riuscendo a penetrare a Salah ad Din e Sayf ad Dawla (sud-ovest) con carri armati, e a raggiungere i quartieri centrali di Jdeide e Tilal, abitati anche da famiglie cristiane. Circostanza confermata dall’agenzia Sana. Ieri Abdel Qader Saleh, capo dell’Esl ad Aleppo, che riunisce circa 8.000 uomini tutti musulmani sunniti, aveva assicurato che i ribelli sono a ridosso dei quartieri cristiani e che sono lì “per far cadere il regime, liberando la città. Proteggeremo ogni cittadino al di là della sua fede. Anzi – ha aggiunto – non permetteremo a nessuno di fare male ai residenti cristiani o di altre confessioni. La nostra non è una lotta contro una o più comunità confessionali, ma contro il regime criminale”.
In questo scenario, rappresentanti governativi, militari e uomini dell’intelligence turchi e americani hanno fatto il punto della situazione sulle opzioni praticabili per impedire l‘infiltrazione di al Qaida in Siria e l’inasprirsi di attentati anti-Ankara da parte dei miliziani curdi del Pkk. Per una singolare coincidenza, i ribelli del partito dei lavoratori curdi, per decenni sostenuto da Damasco, sono tornati a colpire obiettivi in Turchia, che sostiene i ribelli anti-Damasco. E il rappresentante speciale congiunto Onu-Lega Araba, Lakhdar Brahimi, è da oggi a New York per una settimana di consultazioni che culmineranno nella riunione del 30 agosto tra i ministri dei Paesi membri del Consiglio di sicurezza. Il governo siriano ha assicurato che intende collaborare con Brahimi.
Intanto spazzando via il pur nominale cessate-il-fuoco in vigore da mercoledì pomeriggio, all’alba di questa mattina sono ripresi gli scontri inter-confessionali a Tripoli, nel Libano settentrionale, tra esponenti delle locali comunità sunnita e alauita, innescati dal conflitto in Siria, con le due fazioni schierate rispettivamente a favore dei ribelli e del regime di Bashar al-Assad per motivi di comunanza religiosa. Secondo fonti giornalistiche presenti sul posto, si è registrata così un’altra vittima, la quattordicesima in cinque giorni: un giovane sceicco sunnita, il 28enne Khaled al-Baradei, è stato ucciso durante i combattimenti tra gli abitanti del suo quartiere, Qobbeh, e quelli della vicina enclave alauita di Jabal Mohsen. Ci sono stati anche nuovi feriti, il cui numero ha da tempo superato le cento unità.