Le bollicine italiane versante metodo classico. Per alcuni eccellenza e vanto nazionale, per altri francesizzazione in minore, con molto marketing alle spalle. Il mondo del vino è così, perfino più bipolare e assoluto di quello dello sport o della politica, per dire. Al solito, tra i due fanatismi esistono gradazioni di equilibrio. E sapercisi muovere è una sfida proficua. In Franciacorta ad esempio la vera differenza la fa il prezzo. Non è un discorso brutalmente economico ma di contestualizzazione. Perché sopra alcune cifre è giusto andare a guardare in Francia, invece che cercare i troppi spumanti tecnicamente ineccepibili ma spesso avari di storie ed emozioni. Orpelli da ordinare in enoteca per darsi un tono (con i commensali ed effetto contrario sull’enotecaro) o da portare come omaggio per le cene.
Sì, perché le emozioni nel vino esistono e fanno parte del pacchetto, altrimenti il racconto di una bevuta sarebbe arida. I centesimi non ci interessano, le storie sì. Potrebbe essere lo slogan di questo blog. E se il sospetto di retorica è legittimo, lasciatecela questa retorica della bella cornice e del bel racconto. Noi amanti del vino amiamo cercare, scoprire e condividere. Siamo un po’ nerd fanatici e un po’ ingenui, raramente rifiutiamo l’affettuoso abbraccio della nicchia, ma non facciamo male a nessuno. Solo a noi stessi se indulgiamo in qualche posa artefatta.
Conosco i vini di Franciacorta più per contiguità geografica che per affinità elettive e nella mia ultima escursione ho scoperto ad Iseo questa Cascina Clarabella, una realtà in grande crescita, partita con 1,7 ettari nel 2003 e arrivata ora alle 75.000 bottiglie e ai 10 ettari di vigneti, al 90% composti da Chardonnay e cloni di questo. Dimensioni ideali per il tipo di prodotto ricercato e a buon mercato, visto che parliamo di 11 euro per il brut e 12 per il Satèn. Intanto il primo ettaro di Pinot nero è stato impiantato ed è in produzione il primo rosé per cui dovremo attendere un paio d’anni. Non mancano un bianco e un rosso fermi.
Nel mio piacevole percorso in azienda, il responsabile Alessandro mi racconta il progetto Clarabella, la sua seconda vita enologica dopo uno snervante lavoro impiegatizio milanese e la storia della cascina che è anche e soprattutto una cooperativa di inserimento e cura per persone con disagio psichico. Un contesto dove lavorano 67 persone tra l’azienda vinicola e quella agricola (olio e miele, altra eccellenza di Clarabella) oltre all’agriturismo, piccola oasi naturalista che si fregia della posizione a due passi dal Lago d’Iseo. A raccontarla si cade nel politicamente corretto, ma perché tirare il freno se un progetto appare convincente?
E il vino? Piacevole il Satèn, assaggiato solo in cantina a una temperatura che lo penalizzava un po’; più riuscito il brut, riprovato anche a casa. Metodo classico elegante e di grande beva, prodotto da uva biologica, con vendemmia rigorosamente manuale e un limitatissimo apporto di solforosa, è un vino composto per il 95% da Chardonnay e per il 5% da Pinot nero. Nonostante sia ancora giovane (è stato sboccato lo scorso dicembre, dopo 21 mesi sui lieviti, preceduti da un affinamento in piccole barriques di rovere) mostra equilibrio, grande freschezza e una buona acidità. E soprattutto grandi potenzialità di crescita, visto che le vigne hanno solo sei anni e alta possibilità di evoluzione. Il perlage è fine e raffinato e il naso molto gradevole, con sentori di frutta: pesca e mela su tutti, ma anche di miele. Bello l’attacco in bocca dove spiccano i sentori agrumati e la sensazione di pulizia complessiva; non lunghissimo il finale per chiari motivi di giovinezza dei vigneti. Avercene.