Qualche settimana fa il premier Mario Monti ha suscitato polemiche per una infelice dichiarazione. La frase faceva riferimento ad una fetta di popolazione di età compresa tra i 30 e i 40 anni definita “generazione perduta”. Così ha affermato Monti, rispondendo alla domanda di un settimanale sul messaggio da dare ai 30-40enni italiani: “Esiste un aspetto di generazione perduta. Facciamo il possibile per limitare i danni, ma soprattutto impegniamoci seriamente a non ripetere gli errori del passato, a non crearne altre, di generazioni perdute”.

Nelle settimane successive a queste infelici affermazioni, un gruppo di giornalisti e top influencer della rete ha proposto la creazione di un manifesto, quello della Generazione Perduta. L’operazione sta suscitando interesse, a tal punto da spingere il premier a tornare sulle sue parole, cercando di motivarle e giustificarle.

Pochi giorni fa l’avvocato e blogger Massimo Melica nel suo blog ha coniato un’altra espressione, a mio avviso molto calzante in un Paese come il nostro piagato da caste e baronati e dove l’unica soddisfazione sembra sia quella di riuscire ad agguantare una poltrona comoda comoda dove tranquillamente adagiarsi. Massimo Melica cita la “generazione incollata” come piaga del nostro sistema e si sofferma sulle ragioni che hanno permesso a questa generazione di radicarsi in modo così capillare (mai aggettivo risulta così azzeccato). Afferma Melica: “L’Italia è un luogo che, dal dopoguerra ad oggi, ha visto radicarsi il concetto del teniamoci stretta la poltrona”. Melica poi esplicita le ragioni che a suo avviso hanno portato alla creazione di questa comunità.

Condivido l’analisi di Melica anche quando afferma che non si tratta di uno scontro anagrafico: “Chiaramente il conflitto non nasce tra giovani e vecchi per meri fattori anagrafici, ma tra coloro che negli anni hanno radicato un potere e coloro che oggi non hanno sbocchi lavorativi per guadagnarsi una dignità sociale”. Ora se le motivazioni verso questo modello di nepotismo nascono anche da ragioni storiche e politiche, la responsaiblità per estirpare questa piaga dovrebbe essere distribuita in modo omogeneo e su più attori. La politica dovrebbe prendersi una bella fetta di questa colpa, non essendo riuscita a dispiegare questi meccanismi. Ma anche il sistema formativo (scolastico o universitario che sia) non potrebbe sottrarsi alle sue responsabilità e al suo ruolo di guida.

Io credo che possiamo liberarci da questa generazione incollata soltanto con una nuova generazione che dovrebbe prendere il sopravvento, innestando un germe che possa consentirne il cambiamento. Ho fiducia verso le nuove leve che – con una fatica sovrumana – provano a scardinare questi meccanismi, e mi auguro vivamente che possano evitare di ripeterli. Credo che anche il contributo della cultura della rete, l’uso spinto di nuove tecnologie che assorbe i nuovi giovani professionisti, permetterà di liberarci da questi lacci e lacciuoli che hanno paralizzato (e continuano a farlo) l’economia e, in fondo, tutto il sistema Italia nel suo complesso.

 

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