‘Life is too short to drink bad wine’ (da una taverna inglese).
Accettereste di bere vino scadente per tutta la vita solo per la pigrizia di non cercarne uno migliore?
Nelle migliaia di colloqui svolti dal 1998 ad oggi con manager e professionisti ‘for profit’ in cerca di ‘senso’, parole e sentimenti sono incredibilmente simili: ‘So di valere e le mie competenze voglio investirle e metterle al servizio di qualcosa che abbia senso!’ ‘Ho voglia di costruire, voglio contribuire a lasciare ai miei figli un mondo migliore’. ‘La sera quando torno a casa voglio guardarmi allo specchio e dirmi bravo/a, hai fattola cosa giusta’.
Seguita dall’inevitabile domanda ‘posso farcela?’
La mia risposta è sempre affettuosa, prudente, dare in quel momento indicazioni chiave per il futuro di una persona, è una responsabilità seria e bella.
Mi prendo sempre un momento prima di rispondere, rifaccio dentro di me il bilancio delle competenze dell’essere umano che ho davanti, ‘vedo’ passare una decina di storie in qualche modo simili di persone che ce l’hanno fatta, ‘sento’ i rischi e le opportunità, alla fine do un parere, comunque incoraggiante se non sull’immediato sui prossimi passi. (Detto così è buffo e fa un po’ ‘oracolo’, ma di fatto dopo migliaia di colloqui del genere l’intuito inevitabilmente si affina).
A proposito di ‘nuova classe dirigente’ (vedi ultimo post): molti tra i migliori professionisti e manager del settore vengono proprio dal settore for profit, che li richiede fortemente in relazione alla capacità di lavorare per risultati, alla concretezza. E alla conoscenza del settore for profit da cui vengono – con il quale sempre più il no-profit si rapporta per partnership su fundraising e social innovation.
Lavorare nel non profit (o Terzo Settore) vuole dire lavorare per il cambiamento sociale e promuovere valori forti. Non richiede solo di essere ‘buoni professionisti’. Nelle parole di Luigi Zampi, uno dei migliori formatori del settore: ‘Il terzo settore ha bisogno di persone di valore: non solo professionisti, ma persone. Gente che porta nelle organizzazioni nuove abilità, idee, innovazioni, cambiamenti. E allo stesso tempo che impersona nei comportamenti quotidiani i valori che l’organizzazione professa all’esterno’.
Lavorare nel no profit richiede capacità di sognare, di sgominare il cinismo interno e circostante delle ‘voci contro’: ‘Don’t let the noise of others’ opinions drown out your own inner voice. And most important, have the courage to follow your heart and intuition. They somehow already know what you truly want to become. Everything else is secondary.” ‘Steve Jobs’, The Stanford Report 2005
Cambiare vita si può eccome, ma servono sogno, passione e competenze.
Lavorare nel no profit, nella mia visione (idealista!) è la piena realizzazione del concetto di Vita Activa di Hannah Arendt: La massima realizzazione umana – affermava superando Marx – non è solo nel realizzarsi nel proprio lavoro e/o come membro di una classe, ma quello di prendere parte alla vita sociale e politica. Nel ‘lavoratore sociale’ (anche quando distrutto dalla fatica), le dimensioni ci sono entrambe: vedere il frutto del proprio lavoro, controllarlo, e contribuire attivamente al bene comune anche direttamente (ad es. con le campagne sociali, l’advocacy o la lobbying, il dialogo con le istituzioni e la collaborazione alle politiche) o indirettamente, con il prendersi cura dei beni comuni e degli altri. La Arendt rivolta le tradizioni filosofiche di Cartesio (Cogito, ergo sum) e di Marx (Lavoro, quindi sono), in un ‘Agisco, quindi sono’. L’Agire come ‘essere’ (coerente) e soprattutto come‘essere-nel-mondo’ ci caratterizza pienamente, ‘a noi non profit’! Grande Hannah!
Personalmente ho fatto il passaggio (completo) oltre 15 anni fa e nel bellissimo lavoro con Asvi Social Change ne ho ‘supportati’ almeno altri 300, tra professionisti e consulenti in crisi, manager di multinazionali, banche, o semplici impiegati ‘ambiziosi’ di senso e di etica, stufi di dare il sangue per arricchire altri. Vi racconterò alcune belle storie nel prossimo post (ndr – di mercoledì pomeriggio come sempre)
Confesso, alti e bassi, tre figli e una vita complessa: il ‘Terzo Settore’ non è il ‘mondo dei sogni’, per i più giovani salari allineati, retribuzioni per i manager non ancora adeguate all’impegno. E anche qui serve un ricambio di classe dirigente (work in progress :-)
Ma oggi sono molto felice, come la maggior parte di quelli che lo hanno fatto.
E voi di la dallo schermo: ci avete mai pensato?
Per info e materiali gratuiti di approfondimento, richiedili a Marco2045@gmail.com, con Oggetto: lavorare nel non profit-Il Fatto.