La tutela della Costituzione americana deve essere garantita anche sui social network? Per il giudice dello stato di New York Matthew Sciarrino Jr., il materiale pubblicato su Twitter diventa automaticamente di dominio pubblico; di diverso avviso invece i legali del sito di microblogging che hanno invocato addirittura il quarto emendamento della legge fondamentale degli Usa. Una questione che torna sotto la luce dei riflettori in occasione dell’avvio della fase d’appello, richiesta proprio dai legali di Twitter, per il caso di Malcolm Harris, coinvolto nell’operazione “Occupy Wall Street”. Il giudice distrettuale di New York ha infatti chiesto ai gestori di Twitter di fornire tutti i dati legati all’account @destructuremal come indirizzo ip, numero di accessi e tutte le interazioni, sia tweet che messaggi privati, inviati o ricevuti dal profilo nel periodo tra il 15 settembre e il 31 dicembre 2011.

L’ordinanza, che in gergo viene chiamata “subpoena”, ha da subito trovato l’opposizione di alcune associazioni come l’Electronic frontier foundation e l’American civil liberties union, oltre che il netto rifiuto dei gestori del social network. La Costituzione americana tutela i cittadini americani permettendo loro di godere della sicurezza personale, della loro casa, dei loro documenti e dei loro beni di fronte a perquisizioni e sequestri ingiustificati. Secondo Ben Lee, il consulente legale del sito di microblogging, ogni utente ha il pieno diritto di proprietà sui contenuti pubblicati dal suo profilo e per questo, così come avviene per le caselle email, può invocare la difesa della privacy garantita dalla Costituzione.  

Nel mese di luglio era stata presentata una prima mozione con cui si era cercato di trovare una soluzione all’ordinanza emessa dal tribunale newyorkese, ma in quell’occasione il giudice Sciarrino aveva risposto in questo modo: “Consideriamo questo caso: un uomo va alla finestra, la apre e urla ad una giovane donna “Mi dispiace di averti colpita, per favore torna di sopra”. Al processo viene chiamata a deporre una persona che stava camminando lungo la strada, nel momento esatto in cui si è verificato l’episodio. Il pubblico ministero chiederebbe: “Che cosa ha urlato l’imputato?”. Chiaramente la risposta sarebbe pertinente e il testimone potrebbe essere costretto a testimoniare. Ebbene, oggi la strada è online, autostrade d’informazioni, ed i testimoni possono essere i fornitori terzi come Twitter, Facebook, Instagram, Pinterest o la prossima applicazione legata ai social media”. Dopo questa risposta gli avvocati di Twitter avevano annunciato che sarebbero ricorsi in appello e per farlo hanno addirittura tirato in ballo la Costituzione americana. La questione passa ora di nuovo in mano ai giudici ma non si esclude completamente un possibile pronunciamento della Corte Suprema che potrebbe tornare a parlare ancora una volta della situazione, alla luce anche del pronunciamento dell’Onu che ha riconosciuto la rete come uno spazio in cui garantire e preservare i diritti dell’uomo, esattamente come nella realtà.

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