Non intendo entrare nel merito della vicenda delle intercettazioni di cui si discute in questi giorni, ma rappresentare i motivi “pratici” che ritengo alla base dello scontro sulle “intercettazioni presidenziali” che è divampato sugli organi di stampa.
Il problema in sé, a mio giudizio, non risiede nell’ intercettabilità delle conversazioni del Presidente, oltrechè di altri soggetti eventualmente dotati di immunità, ma nel momento e nel modo di conoscibilità e di pubblicazione delle intercettazioni. Le intercettazioni, dall’entrata in vigore della nostra Costituzione, e passando per casi famosi come il caso Montesi degli anni 50, sono spesso state pubblicate dagli organi di stampa, ed hanno contribuito fortunatamente in diversi casi a “scoperchiare” fatti destinati altrimenti ad essere insabbiati.
A fornirle agli organi di stampa sono sempre gli stessi soggetti, che cambiano a seconda dell’obiettivo che si intende raggiungere. Quattro sono le categorie di soggetti che danno la possibilità al pubblico di venire a conoscenza delle intercettazioni in modo più o meno “etico”:
a) I funzionari addetti agli uffici amministrativi presso gli uffici giudiziari;
b) Gli stessi operanti ( ovvero chi materialmente compie le intercettazioni);
c) I magistrati ( ma ciò accadeva in passato quando il timore di “insabbiamenti” ad opera della politica spingeva gli inquirenti a far uscire le notizie sulle indagini);
d) Le parti private o Gli avvocati delle Parti.
Nel caso specifico di Napolitano, a detta di tutti i protagonisti di questa vicenda, le intercettazioni che riguardano il Presidente, sono (in relazione alla sua posizione ma non, forse per chi era oggetto delle intercettazioni) irrilevanti e le stesse saranno quindi distrutte.
Solo che per distruggerle si deve passare per un’udienza filtro all’interno della quale il Gip ne dichiara l’irrilevanza, nel contraddittorio tra le Parti.
E’ qui il punto nodale della vicenda.
Per quanto tutti i protagonisti della vicenda si affannino a dichiarare che il problema risieda in un vuoto normativo o in un’ingiustificabile privilegio a favore del presidente della Repubblica, a mio avviso, tutto risiede nella circostanza che gli altri indagati ( i loro avvocati) possano avere accesso alle intercettazioni prima che vengano distrutte e, non essendo le stesse, più di fatto coperte dal segreto istruttorio cd “forte”, possano essere pubblicate, di fatto senza i limiti che esistono nel nostro ordinamento che sono, fra l’altro, inapplicati.
E’ di fatto quello che sostiene il Magistrato Ingroia che in sostanza afferma “ Noi abbiamo fatto tutto nel rispetto della legge, e, a far uscire eventualmente le intercettazioni saranno semmai le parti private, che conoscono gli atti depositati”.
Forse non è proprio cosi, dal momento che spesso in alcune indagini di rilievo la conoscibilità degli atti è legata alla predisposizione di strumenti cautelari da parte del magistrato, che rende di fatto conoscibili ( e pubblicabili) gli atti per tutte le parti presenti nel processo, ma a questo punto il discorso appare molto chiaro, e gli schieramenti molto netti.
O si ritengono pubblicabili anche le intercettazioni del presidente della Repubblica ancorchè irrilevanti (al di là del potere di disporle ed effettuarle che è un altro problema) una volta depositati gli atti, garantendo i pieni diritti delle altre parti presenti nel processo ma lasciando a quest’ultime i reali poteri di conoscibilità da parte dell’opinione pubblica, oppure no, ed allora bisogna sottrarle al regime di pubblicità previsto dal codice di procedura penale e distruggerle prima, ma ciò forzerebbe probabilmente il regime processuale diretto alla distruzione.
Uno sforzo di moderazione (e un rigido sistema etico con sanzioni n.d.r.) che riguardi tutte le categorie degli operatori del diritto (Avvocati inclusi) potrebbe essere forse utile alla bisogna, ricordando anche ciò che succede in altri ordinamenti come la Spagna, reduce dallo shock della sospensione cautelare di undici anni del Giudice Baltasar Garzon (che nel frattempo si è consolato con la difesa di Julian Assange) , per aver intercettato illegalmente le conversazioni tra indagati e loro avvocati.
Lo sforzo di moderazione (e forse anche lo sforzo di trasparenza nel pubblicare volontariamente le intercettazioni, che da più parti si richiede al Presidente Napolitano) potrebbe essere forse utile per evitare che presunti vuoti ordinamentali, diventino poi terreno di scontro tra le diverse categorie sulla riservatezza dei soggetti coinvolti e sulla libertà di stampa.