Cultura

Festival di Venezia, superstar in mostra

Vuoi mettere un illustre sconosciuto che diventa una celebrità poco illustre? Alchimie in Mostra, dove oggi passa in Concorso Superstar del farncese Xavier Giannoli, interpretato dal Kad Merad di Giù al Nord.

Applausi in sala stampa, e c’è qualche buona ragione. E’ una fantascienza distopica poco fantascientifica e molto contemporanea, che porta all’ennesima potenza, quella dei social network e di YouTube e Dailymotion, il quarto d’ora di celebrità già ecumenicamente promesso e concesso da Andy Warhol. Un film discreto, indebolito dalla sua stessa struttura speculare e geometrica: si tratta del solito rise and fall, nonostante l’ascesa del “banale” e “idiota” Martin Kazinski (Kad Merad) non sia felice, ma scelta e guidata dal Sistema. Anzi, dalla gente, la gente comune: triste, scapolo, pelato, senza famiglia né amore, Martin lavora al riciclaggio di componenti informatici con down e disabili, ma una mattina si sveglia e senza un perché, suo malgrado si ritrova celebre, con la gente che lo immortala in metropolitana con gli smartphone, gli chiede autografi e lo bracca a tutto campo. Possono astenersi i mass-media? No, ed ecco la giornalista idealista ma pervertita dal trash Fleur Arnaud (Cecile De France, splendida) che lo porta in tv affinché il “Perché?” di Martin abbia audience globale. Ed è triangolo “spettacolare” con il capo e amante di Fleur, Jean-Baptiste (Luois-Do De Lencquesaing), e il conduttore Alban (Ben) alternativamente demiurghi e ingranaggi di un meccanismo a orologeria (digitale) che mastica e, infine, sputa Martin. C’è chi, Fleur, ha rovelli e deontologia, chi lucra (Jean-Baptiste), chi ci smena: Martin, che non vuole soldi, fama, niente, solo essere lasciato in pace e tornare alla sua “banale” vita precedente.

Ma si può davvero rinunciare alla fama? Ispirandosi al romanzo di Serge Joncour L’idole, Giannoli ci sguazza, mettendo spalle al muro il povero Martin, capro espiatorio, capro “fortunato” di quella collettiva smania di apparire che se ne frega della volontà individuale: volente o nolente, nasce la Superstar, che il regista espone a pubblico plauso e pubblico ludibrio. Il poverocristo viene assurto a divinità immaginifica, e lo spettatore non saprà mai perché: il focus è sulla reazione, sull’effetto, il nostro di morti e carnefici di fama. Da oggetto del desiderio Martin passa a bersaglio di corpi contundenti: perché? Nessuno, lui per primo, lo sa. Tutto bene, se Superstar non finisse per sfilacciare le lusinghiere promesse, perdendosi – lui sì – nella banalità, buttando al vento qualche residua buona idea sui troll di Internet, il mastica&sputa del mondo dello spettacolo e della stampa, la paradossale elegia del loser. Tutto mal digerito, con l’incongrua metamorfosi di Fleur, il deperimento di altri personaggi e quel buonismo consolatorio che tutto salva, fuorché il film.

Peccato, ma rimangono in testa alcune buone battute: “Perché quando facciamo l’amore tieni la tv accesa? Se no vengo subito”. Ecco, Superstar è un coito interrotto. Eppure, ne siamo certi, da oggi avrete meno voglia di essere una star. Anzi, una superstar.