Mi tuffo nel Mare Nostrum, un’onda lunga e schiumosa mi trascina altrove. Sono a caccia di emozioni quando varco le sale del Priore della Certosa di Capri, è il quarto appuntamento del Festival della Fotografia, voluto dalla Fondazione Capri (fino al 10 settembre).
Un’amica mi ha consigliato di farci un giro, rimbrottandomi: “Basta, solo polemiche e botte di fatto. Fatti coccolare l’anima da un mare da sogno”.
Sono ammaliata davanti agli scatti (ma sembrano tableaux) di Irene Kung, svizzera con accento romano, artista “assoluta”, scultrice, pittrice e da cinque anni fotografa.
I critici si affannano a definire il suo lavoro metafisico, neo/gotico, fluttuante, minimal, oltre la realtà. Per me è un po’ tutto questo. L’arte dell’immagine ti cattura e basta. E’ una sorta di Tai-Chi per l’occhio e per lo spirito. “Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore”, diceva Henri Cartier-Bresson.
Irene, al collo la sua inseparabile Hasselblad digitale, fotografa solo montagne e alberi, sopratutto olivi centenari, e li fa diventare sculture. Immortala monumenti e architetture alle quali dà un tocco chiaro/oscuro caravaggesco. Prive di qualsiasi elemento umano, ha inventato un genere e dice di scattare un attimo prima del buio, quando il tramonto le regala un ventaglio di luci e ombre. E a novembre corre a Pechino a inaugurare un’altra mostra.
Usa poco il colore e nel suo lavoro di post-produzione grazie a elaborazioni al computer fa brillare le sfumature del grigio come fossero d’ argento.
E così la storica via Krupp, un tempo meta obbligata del Grand Tour, vista dall’alto sembra una verso coranico. Il rudere di Villa Damecuta, residenza dell’imperatore Tiberio, è un percorso da labirinto. Ogni suo scatto rivela “altro”, ciò che l’occhio nudo non coglie.
Insieme a Irene espone anche Ferdinando Scianna di Bagheria che attinge direttamente al suo archivio storico. Emozionano meno, da un maestro della fotografia del suo calibro, ci si aspettava di più. Quella dei pescatori in micro costume da bagno “rivelatore” e in posizione ammiccante ricorda tanto la pubblicità di Dolce&Gabbana. Mentre la lapide immortalata con fotina post-mortem dell’anziana signora, bottiglia di vino e bicchiere che brinda all’eternità, è un piccolo capolavoro di folklore casereccio.