E’ ancora il summit dei paesi non allineati, in corso a Teheran, ad offrire lo spazio per gli ultimi sviluppi siriani. Almeno per quelli in campo diplomatico. A latere del vertice che ha portato nella capitale iraniana i rappresentanti di 120 paesi, il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ha incontrato il primo ministro siriano Wael al-Halaqi e il ministro degli esteri di Damasco Walid Muallim. E’ stato lo stesso Ki Moon a illustrare l’incontro, in una conferenza stampa trasmessa in diretta dalla tv iraniana: “E’ importante in questo momento che da ogni parte cessino le violenze – ha detto il segretario generale – Tutti quegli attori che stanno fornendo armi alle parti devono smettere”.

Oltre a questo appello, comunque, Ki Moon ha anche detto di aver fatto presente ai rappresentanti del governo siriano la “loro responsabilità primaria per fermare l’uso delle armi pesanti”. Ki Moon ha anche aggiunto – secondo l’agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna – di aver chiesto all’Iran di appoggiare le sue richieste e in particolare il lavoro del nuovo inviato speciale di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi, che assumerà in pieno il suo compito a partire da domani. Ki Moon ha detto di “aver ricevuto ogni assicurazione in questo senso dal governo iraniano”.

Di tutt’altro tenore, invece, l’incontro che al-Halaqi ha avuto con l’ayatollah Ali Khamenei, “guida suprema” dell’Iran. Secondo il resoconto diffuso dall’iraniana Press tv, Khamenei ha accusato gli Usa e Israele di essere i responsabili di quanto sta avvenendo in Siria. Inoltre, “i principali colpevoli di ciò che succede in Siria sono quei paesi che hanno preparato il terreno per l’afflusso di armi e che appoggiano finanziariamente gruppi terroristi irresponsabili”. Il Movimento dei non allineati, secondo Khamenei, “è sicuramente più titolato ad essere coinvolto nella crisi siriana di quanto non siano la Nato, gli Usa e alcuni paesi europei”. Al-Halaqi, da parte sua, secondo Press tv, ha ribadito che il governo di Damasco è determinato ad affrontare i gruppi terroristici e “continuare con le politiche di riforma e dialogo nazionale”.

Nelle stesse ore in cui avvenivano questi incontri, a Damasco, ci sono state nuove proteste, pacifiche, al termine delle preghiere musulmane del venerdì. Secondo al-Arabiya migliaia di persone hanno sfilato per le vie del quartiere di Assali, mentre l’Afp aggiunge che sono comparsi nuovamente posti di blocco sulle principali vie di diverse zone della capitale siriana. Altre manifestazioni ci sono state a Deraa, nel sud, una delle zone da cui è partita, diciotto mesi fa, la rivolta antigovernativa. E’ ancora tutta da verificare la notizia secondo cui 14 elicotteri siriani sarebbero stati distrutti nella base area di Abu Zohour, nella provincia di Idlib. La notizia è stata diffusa dai media locali, ma manca, finora, ogni verifica più credibile.

Ad Aleppo, invece, i ribelli hanno annunciato la formazione di Consiglio rivoluzionario di transizione. Secondo un annuncio trasmesso da al-Arabiya, l’intento di questo Consiglio è quello di dare un esempio alle altre province ed essere il nucleo di un Consiglio rivoluzionario nazionale che “serva per guidare la rivoluzione da dentro la Siria”. Una polemica, nemmeno troppo velata, con il Consiglio nazionale siriano, accusato di essere formato soprattuto da esuli di vecchia data che non hanno il polso della situazione sul terreno e non avrebbero seguito nel Paese. E’ ancora presto per capire dalla composizione di questo nuovo Consiglio se possa essere il nucleo di un governo di transizione, auspicato da più parti (soprattutto occidentali) come primo passo per la fase del dopo-Assad. Ma è abbastanza chiaro che ci sono diverse manovre in corso e diverse anime della lotta anti-governativa che si stanno posizionando in vista di una possibile fine della guerra civile.

La strada però è ancora molto lunga e non è affatto detto che le forze anti-governative possano avere la meglio, nonostante un consistente appoggio internazionale. Lo stesso Assad, parlando in una intervista trasmessa dalla tv di Stato siriana lunedì, ha ammesso che per la vittoria “ci vorrà ancora tempo”. Il tempo, però, rischia di aggravare innanzitutto la situazione umanitaria. Secondo un comunicato della Croce Rossa internazionale, che ha una cinquantina di persone a Damasco, la situazione dei profughi interni è molto difficile, perché a causa dei combattimenti non c’è la possibilità di portare soccorso alle aree più colpite.

La Turchia, dal canto suo, ha avvisato ieri in una riunione al Consiglio di sicurezza dell’Onu convocata dalla Francia, che potrebbe essere difficile fare fronte a un nuovo massiccio afflusso di profughi. Per questo, secondo un’ambigua proposta di Ankara, si potrebbe pensare di creare delle “zone sicure” all’interno della Siria dove far affluire gli sfollati. Una proposta che fatica ad essere credibile perché somiglia un po’ troppo alla richiesta di zone cuscinetto, già fatta altre volte dalla Turchia.

di Joseph Zarlingo

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