L’ex-governatore del Massachusetts ha accettato di correre contro l'inquilino democratico della Casa Bianca. Quattro i punti salienti toccati nel suo intervento: il racconto di sè come uomo d’affari, il suo porsi come marito e figlio; il suo essere religioso; la volontà di combattere la "debolezza" americana. Ospite d'onore a Tampa, Clint Eastwood
Tampa – “Obama ha promesso di rallentare la crescita degli oceani e di guarire il pianeta. Io prometto di aiutare voi e le vostre famiglie”. E’ la frase che sintetizza l’intervento con cui Mitt Romney ha accettato la candidatura repubblicana e concluso la Convention di Tampa. E’ stato un discorso tutto rivolto a raccogliere i delusi dalla presidenza di Barack Obama, a esaltare le proprie doti di uomo d’affari e a offrire un’immagine di sé più calda e accogliente. “Avrei desiderato che Obama ce la facesse, perché voglio che l’America ce la faccia – ha detto Romney -. Ma le sue promesse hanno prodotto delusione e divisione. E ora dobbiamo fare qualcosa”. Preceduto sul palco della Convention da Clint Eastwood, che ha liquidato la presidenza Obama con particolare violenza e sarcasmo, Romney ha dipinto un Paese in declino, con 23 milioni di disoccupati e una politica estera timida e confusa; un Paese che ha rinunciato alla propria grandezza e all’“eccezionalismo” che è sempre stato il suo destino. “Ma è giunto il momento di restaurare la promessa dell’America”, ha detto Romney, continuamente interrotto dagli applausi delle migliaia di delegati che per tre giorni hanno riempito il Forum di Tampa.
Durante i 45 minuti dell’intervento, Romney ha cercato di mettere a fuoco soprattutto quattro aspetti, essenziali per la sua campagna.
Mitt il businessman. Il racconto delle proprie doti ed esperienze di uomo d’affari ha costituito il centro del discorso. Sul palco, in serata, era salito Bob White, amico e partner d’affari di Romney a Bain Capital. “L’America ha bisogno di un uomo che sappia come gestire l’economia”, dicevano molti delegati tra la folla, e Romney ha cercato di rafforzare questa percezione. Ha parlato di Bain Capital, della sua esperienza come imprenditore a Staples, della necessità di far ripartire l’economia. “Ciò di cui l’America ha bisogno, sono posti di lavoro”, ha detto. Romney ha in particolare accusato Obama di aver depresso l’economia e la classe media con nuove tasse. In realtà Obama non ha alzato, bensì abbassato le tasse alla classe media (in due occasioni, con il “Making Work Pay”, inserito nella legge di stimolo economico, e con taglio di due punti all’imposta sui salari). La distorsione polemica è comunque servita per convogliare l’immagine di un’amministrazione, quella di Obama, incapace di capire il lavoro e l’economia, e per accentuare al contrario le doti di Romney, capace e responsabile businessman. “Ho creato migliaia di posti di lavoro a Bain Capital. Posso fare lo stesso come presidente degli Stati Uniti”, ha detto l’ex-governatore del Massachusetts. Questo rimarrà uno dei temi più forti della sua campagna, probabilmente quello destinato ad avere più credito tra gli elettori.
Mitt l’uomo. Romney non è mai stato particolarmente capace di raccontare la propria “storia” (a differenza, per esempio, di presidenti come Bill Clinton e Barack Obama, bravissimi a ridefinire la propria vita a fini di retorica politica). Uno degli obiettivi del discorso di ieri sera è stato proprio questo: rendere più riconoscibile l’esperienza umana, esistenziale del candidato, offrire agli americani un’immagine più accessibile e avvolgente della sua vita. Romney ha fatto il possibile per assomigliare all’”average Joe”, all’uomo comune americano. Ha parlato “dell’amore incondizionato che Ann e io abbiamo cercato di passare ai nostri figli”. Ha più volte nominato il padre e la madre “rimasti insieme per 64 anni”. Ha detto di aver lasciato il Michigan “per cercare la propria strada” lontano dal privilegio di famiglia (il padre fu chairman di General Motors e poi governatore dello Stato). Soltanto le prossime settimane diranno se il tentativo di umanizzazione è davvero riuscito. Si tratta di un elemento comunque essenziale. L’indice di “gradevolezza” di Romney presso gli elettori resta sotto il 40%. Obama supera il 50. Senza una “storia”, un privato da raccontare, cosa cui gli americani sono estremamente sensibili, è difficile conquistare la Casa Bianca.
Mitt il commander-in-chief. L’accusa ad Obama di aver indebolito la potenza americana, di essere andato in giro per il mondo a “scusarsi” per la politica estera di Washington, fa parte da tempo del bagaglio polemico repubblicano. Poco importa, anche qui, che la cosa non sia vera (anche in occasione del conferimento del premio Nobel per la Pace, Obama ha difeso con forza la politica americana nel mondo, compresa la guerra in Afghanistan). Il tema della debolezza americana sotto la guida di Obama è tornato ieri sera, quando Romney ha detto che il presidente democratico “ha mancato di contrastare la minaccia nucleare dell’Iran… ha buttato in mare alleati come Cuba… ha dato al presidente Putin ogni flessibilità”. Anche se in queste elezioni la politica estera quasi non è comparsa, Romney ha comunque voluto ricordare l’eccezionalismo americano, il suo ruolo di potenza mondiale a difesa della democrazia nel mondo. “Con me – ha detto – Putin avrà molto meno flessibilità”.
Mitt il religioso. Per tutta la giornata dal palco della Convention è stato fatto riferimento alla fede mormone di Romney. Si tratta, come ha spiegato lo stratega Stuart Stevens, di un modo per rendere più familiare l’immagine del candidato, dissipando paure e pregiudizi che ancora esistono nei confronti dei mormoni. Di religione ha parlato per esempio Grant Bennett, amico e assistente di Romney quando questi era pastore della chiesa mormone. “Religione significa visitare chi è senza padre, e le vedove nel loro dolore – ha detto Bennett -. Disoccupazione, malattia, solitudine, povertà. Mitt consigliava e assisteva tutti”. Nel discorso Romney ha poi fatto un rapido accenno alla religiosità sua e della famiglia: “Vivevamo in Michigan, un posto strano, per i mormoni, dove invece fummo accolti benissimo”. L’accenno alla religione, unito al successivo riferimento alla “difesa della vita e tutela del matrimonio tradizionale”, è servito per rassicurare ancora una volta i conservatori sociali e i religiosi del partito sul fatto che Mitt “sarà uno di loro”.
Clint Eastwood. Un capitolo a parte merita l’apparizione dell’attore e regista, tenuta segreta per settimane dalla campagna di Romney. Eastwood ha offerto un endorsement, il sostegno alla candidatura repubblicana, in un modo del tutto inaspettato. Si è presentato sul palco con accanto una sedia vuota, su cui ha finto sedesse Barack Obama. Ha quindi iniziato un dialogo immaginario con il presidente, accusato di voler chiudere Guantanamo, nonostante la minaccia terroristica ancora incombente sugli Stati Uniti, e di non aver fatto nulla per risollevare le sorti dei 23 milioni di disoccupati americani. E’ stato un dialogo paradossale, segnato da battute anche pesanti (“No, non posso dire a Romney questo, mister Obama”, ha detto a un certo punto Eastwood, alludendo esplicitamente all’atto sessuale), che si è concluso con la richiesta a Obama di farsi da parte e con la frase simbolo dell’ispettore Callaghan: “Fatti avanti. Dai un senso alla mia giornata”, urlata all’unisono da tutta la platea. “Difficilmente Eastwood verrà più invitato alla Casa Bianca, nel caso vincesse Obama”, è stata la battuta di una delegata della California, che ha subito aggiunto: “Ovviamente Clint sarà tra gli ospiti d’onore dell’inaugurazione”.