Rcs, Mediobanca, Intesa: il salotto buono scende in trincea e difende il suo potere senza pagare il conto di crisi e cattiva gestione. Così corrono ai ripari: il Corriere sta pensando se cedere la sede storica di via Solferino, mentre le Generali vogliono vendere asset negli Usa, mentre Tronchetti mette obbligazioni sul mercato scatenando l'ira di Malacalza
Sarà pure vero, come fanno notare gli specialisti del settore, che di titoli Rcs ce n’è in giro proprio pochi, con l’80 per cento e più del capitale sigillato nelle casseforti dei grandi azionisti. E allora, volendo, diventa un gioco da ragazzi manipolare le quotazioni a suon di scambi tra poche mani, sempre le stesse. Quando però, come succede da giorni, i titoli della società che pubblica il Corriere della Sera prendono il volo, allora si possono azzardare un paio di conclusioni. Qualcuno, soprattutto tra i cosiddetti day trader (gli investitori di brevissimo periodo) è riuscito a guadagnare parecchi soldi comprando e vendendo nel giro di poche ore. E poi, ed è la seconda possibile lettura, alcuni grandi investitori (fondi, banche) hanno preso posizione in vista di novità a breve. Fatto sta che in un mese il titolo Rcs ha messo a segno un rialzo del 130 per cento.
Per capire meglio bisogna partire da un dato di fatto, uno dei pochi punti fermi in una storia fatta per lo più di voci incontrollabili: Rcs ha bisogno in fretta di risorse fresche, perché viaggia in perdita e ha molti debiti, oltre 700 milioni. Per trovare soldi ci sono due strade: si vendono attività oppure si chiedono soldi agli azionisti. “Vendiamo, vendiamo”, chiede la maggioranza dei grandi soci, riuniti in un affollato patto di sindacato guidato da Mediobanca (14,3 per cento del capitale), con, tra gli altri, Fiat, Generali, Intesa, Pirelli e la new entry Unipol, che si è presa la quota dei Ligresti. Il motivo è semplice: al momento tutti questi azionisti sono a corto di contante. Chi più chi meno devono affrontare fasi di mercato non proprio brillanti (eufemismo) nel loro settore.
Pensate, per dire, alla Fiat di Sergio Marchionne che si mette a spendere soldi per salvaguardare la propria posizione di potere nel Corriere della Sera, mentre fatica a non chiudere le fabbriche d’auto. Tutto è possibile, certo, adesso però la grande recessione ha ridotto di molti gli spazi di manovra ai piani alti del capitalismo nazionale. E così in queste settimane si ripete un fenomeno provocato per l’appunto dalla citata penuria di denaro cash. Non solo Rcs, ma anche Mediobanca, le Generali e la Camfin, holding quotata di Marco Tronchetti Provera: tutte queste società avrebbero in teoria bisogno di un aumento di capitale, possibilmente finanziato dai propri azionisti. Di questi tempi però, i soci maggiori, quelli che comandano, hanno altro a cui pensare. E neppure vogliono mollare la presa su centri di potere tanto importanti. Ecco allora, che i top manager delle società in questione si stanno esercitando a cercare sistemi alternativi allo scopo, dicono gli analisti, di “far emergere valore”. Che vuol dire riequilibrare i bilanci senza chiedere soldi ai soci.
Sui giornali cominciano così a circolare ipotesi non sempre attendibili che hanno spesso l’effetto di pompare le quotazioni dei titoli in questione. Mediobanca farà una scissione tra le attività bancarie e le partecipazioni di riferimento (Generali Rcs, Pirelli). Anzi no, l’amministratore delegato Alberto Nagel sta studiando, dice qualcuno, la “riduzione delle esposizioni in equity”. Non spaventatevi: vuol dire semplicemente che vorrebbe vendere un po’ di titoli tra quelli in portafoglio.
Il nuovo numero uno di Rcs, Pietro Scott Jovane, starebbe invece valutando la possibilità di cedere la sede del Corriere in via Solferino. In alternativa si potrebbe trovare un socio di minoranza per le attività editoriali in Spagna, che sono in grave affanno. Anche le Generali vogliono vendere asset negli Usa, mentre per la Camfin di Tronchetti la soluzione è già pronta. Per far fronte ai debiti verranno piazzate sul mercato obbligazioni convertibili in azioni della controllata Pirelli. Questa operazione è stata contestata (invano) dai Malacalza, la famiglia di imprenditori con base a Genova forte di una quota di poco inferiore a quella di Tronchetti. “Serve un aumento di capitale”, sostengono i Malacalza. I quali, a differenza del loro socio, hanno le casse piene di contanti e non avrebbero problemi a sborsare quanto serve. Lo stesso copione potrebbe presto andare in scena anche altrove.
Mister Tod’s, Diego Della Valle non è certo a corto di liquidità e da tempo va dicendo di essere pronto ad aumentare la sua quota (5,5 per cento) in Rcs e forse sta pensando a rafforzarsi pure in Mediobanca. Anche l’imprenditore ospedaliero Giuseppe Rotelli, che è già il primo socio di Rcs con il 16 per cento ma comanda poco o niente, vanta grandi disponibilità finanziarie e aspetta solo il momento buono per rafforzarsi ancora . Non sarà facile. I soliti noti del salotto buono sono pronti a fare le barricate contro i Malacalza, i Della Valle, i Rotelli di turno. Nei prossimi mesi capiremo se la crisi avrà dato il colpo di grazia al sistema.
Da Il Fatto Quotidiano del 31 agosto 2012